Atene e il referendum La corsa dei leader d’Europa

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BRUXELLES — Calano a picco le Borse d’Europa bruciando 219 miliardi, cala anche Wall Street; sale alle stelle l’ira di Francia e Germania; e il premier greco, Georges Papandreou, viene chiamato a rapporto per stasera proprio da Angela Merkel, Nicolas Sarkozy, dai leader dell’Unione Europea, del Fondo monetario internazionale, e della Banca centrale europea, in un drammatico prologo straordinario del vertice G20 già  in programma per domani.
Tutto questo è accaduto nelle ultime ore dopo l’annuncio dato domenica dallo stesso Papandreou: il piano per le riforme greche concordato con la Ue sarà  sottoposto a un referendum popolare, a dicembre o gennaio, così da ottenere una «legittimazione democratica». Un fulmine, nel cielo non sereno ma già  tempestoso: nessuno, a Bruxelles o a Berlino o altrove, era stato preavvisato. E l’Europa ha preso atto degli ultimi eventi, sbalordita per almeno tre motivi: perché quello stesso piano è già  stato approvato da governo e Parlamento di Atene; perché l’accordo con la Ue e l’Fmi — da cui dipendono altri 120-130 miliardi di aiuti in prospettiva, più 8 entro metà  novembre — non prevedeva e non prevede alcun referendum; e perché, infine, tutti i sondaggi dicono che almeno il 60% dei greci voterebbe «no», per la semplice ragione che le nuove riforme sono connesse ad altrettante misure di austerità  e di sacrificio. Nessuno a Bruxelles nega il principio del referendum in sé, come strumento di democrazia. Ma in questo caso, si fa notare nei palazzi Ue, il referendum rimette in discussione i patti interni e con l’Europa, porta una nuova ondata di destabilizzazione nella zona euro: anche se vincerà  il «sì», perché prima vi saranno comunque settimane o mesi di precarietà , di incertezza. Il referendum è come rovesciare i tavoli, e su quei tavoli sono state appena posate decine di miliardi. Se davvero questo accadrà , se ad Atene si voterà  e se vincerà  il «no», «non si potrà  escludere che la Grecia vada in bancarotta», anche perché l’idea stessa mette a rischio le condizioni già  concordate per il salvataggio: lo dice Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo, aggiungendo che quel Paese «rappresenta una minaccia per la stabilità  finanziaria dell’Eurozona». E Sarkozy, in conferenza stampa da Parigi, ha ripetuto che il piano di salvataggio di Atene appena adottato dall’Ue è «la sola via percorribile per risolvere il problema del debito greco»
Lanciato da Atene verso le altre capitali Ue, l’annuncio di Papandreou è subito rimbalzato indietro, con effetti quasi destabilizzanti: il governo è entrato in fibrillazione, per dissensi nella maggioranza: voci insistenti parlavano ieri notte di sua imminente caduta, per venerdì è annunciato un periglioso voto di fiducia. Tutto ciò, proprio nel Paese più indebitato, nell’anello più debole dell’intera zona euro (subito dopo, nella catena, ci sono gli anelli Spagna e Italia: non a caso, ieri, la Borsa di Milano è stata la più colpita dai cali nella Ue, con perdite dell’6,8%). E c’è altro: gli 8 miliardi che arriveranno ad Atene fra pochi giorni da Bruxelles e Washington, miliardi molto invocati perché le casse greche sono ormai vuote, finiranno più o meno a metà  gennaio. Cioè proprio in coincidenza con un eventuale vittoria del «no» al referendum; nei tempi e nei fatti, un’altra coincidenza da brividi.
Papandreou spiegherà  dunque dalle 17 di stasera, ai grandi d’Europa e a ridosso del G20, il perché delle sue decisioni. Oltre a Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, avrà  di fronte il presidente stabile della Ue Herman Van Rompuy e il capo della Commissione Europea, José Manuel Barroso, il neopresidente della Bce Mario Draghi, e il direttore dell’Fmi Christine Lagarde. Barroso e Van Rompuy hanno «piena fiducia», così hanno scritto insieme in un messaggio, nel fatto che la Grecia manterrà  tutti i suoi impegni: un auspicio, ma forse anche un monito. L’aria è a dir poco pesante: Sarkozy, secondo fonti citate da Le Monde, avrebbe definito la mossa dei greci come «un gesto irrazionale e pericoloso per loro». Ma «per loro», in questo caso, può anche significare «per tutti».


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