I conti delle pensioni degli under 40 «L’assegno? Può essere sotto il 50%»
Quasi un mese fa Stefano Petrarca, dell’Ufficio ricerche e studi dell’Inps, ha pubblicato uno studio (come elaborato personale e non dell’Inps) che mirava a dimostrare la capacità del sistema contributivo di assicurare pensioni dignitose con tassi di sostituzione (rapporto tra pensione e ultimo reddito da lavoro) pari al 70% se dipendenti e del 57% se parasubordinati. «Conclusioni che abbiamo studiato a lungo senza trovarne riscontri — spiega Anna Soru, presidente Acta, Associazione consulenti del terziario avanzato —. Primo elemento di contestazione è il Pil: dal suo andamento dipende la rivalutazione dei contributi versati. Lo studio ipotizza che il Pil aumenti di 1,5% l’anno. Un’ipotesi a dir poco ardita, considerato che negli ultimi 10 anni è cresciuto dello 0,3% e che adesso non sembrano esserci le condizioni ideale per un’improvvisa accelerazione».
Lo studio prevede pensioni più sostenibili per chi lavora fino a 70 anni partendo dal presupposto che i giovani oggi iniziano più tardi (anche per difficoltà contingenti). Certo — osserva Soru — ma non possiamo escludere che ci sia anche chi ha iniziato a lavorare e versare intorno ai 23-24 anni e che dopo 40 anni di versamenti avrà meno di 65 anni. Si tratta di lavoratori che saranno inevitabilmente penalizzati». Però a parità di anni di contribuzione, a 70 anni si percepirà una pensione più elevata che a 60 perché la speranza di vita è più bassa. «È tautologico — sorride la presidente Acta —, se si lavorasse fino alla morte non ci sarebbe neanche bisogno della pensione».
Rimane sul campo anche il tema della discontinuità per chi (sempre più giovani) avrà un curriculum fatto di contratti a progetto, periodi di disoccupazione, part time o post gravidanza. «Il tema della discontinuità non può essere ignorato nè sottovalutato — concorda Soru —, si tratta di un aspetto che inciderà pesantemente sul futuro pensionistico di un Paese che non ha un’assicurazione generalizzata della disoccupazione e della malattia e che non ha previsto l’introduzione di crediti pensionistici figurativi per i compiti di cura».
Alla fine, è ipotizzabile un calcolo attuale sul contributivo? «Per noi è evidente che con il sistema contributivo c’è un tracollo della pensione — continua Soru —, una cifra che sta molto sotto al 60% del reddito attuale se si va in pensione dopo i 65 anni ma abbondantemente sotto il 50% se si smette prima dei 60 anni».
E volendo provare un calcolo concreto? «Un primo calcolo lo si può fare applicando il sistema contributivo alle pensioni retributive liquidate ora. L’esempio è di un signore che va in pensione a 58,5 anni con 40 anni di contributi; la pensione retributiva che percepisce è di 2.031 euro mensili, quella che percepirebbe se fosse in regime contributivo è di 1.085 euro mensili. In sostanza il calcolo contributivo, applicato allo stesso montante, determina una pensione più bassa del 48,3%». No, l’allarme non è rientrato.
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