Assad minaccia l’Occidente «Se intervenite, sarà l’inferno»
WASHINGTON — Il presidente siriano Bashar Assad conosce le paure dell’Occidente. Suo padre, lo scaltro Hafez, le ha sfruttate per una vita. E dunque il «giovane» le evoca per tenere la comunità internazionale lontana dalla crisi in Siria.
Questa la sintesi del suo messaggio affidato con un’intervista al Sunday Telegraph: «Noi rappresentiamo una cerniera. Un intervento esterno causerà un terremoto. Volete avere un altro Afghanistan o decine di Afghanistan? Brucerà l’intera regione. Se volete dividere la Siria dividerete l’intero scacchiere».
Lo scenario che prospetta il dittatore è quello del caos. O peggio di un contagio che infiamma i paesi vicini. Dunque se gli occidentali volessero ripetere l’operazione Libia — come chiedono molti negli Usa — rischierebbero di trovarsi in mano una situazione esplosiva. Assad sembra attaccarsi al famoso detto arabo: «Meglio il Diavolo che conosco che l’Angelo che non conosco». E, in effetti, in alcune capitali, c’è il timore di favorire spinte radicali.
Inoltre le intelligence occidentali sanno bene che Damasco, per quanto debole, può affidarsi a iniziative clandestine. Da decenni finanzia gruppi terroristici o appoggia movimenti disposti a manovre diversive.
È il caso dei separatisti curdi del Pkk sostenuti nella lotta contro la Turchia, paese che fa da sponda al dissenso siriano. Agli inizi della rivolta, poi, i servizi segreti di Assad hanno mandato centinaia di attivisti palestinesi contro le posizioni israeliane sul Golan. Dimostrazione finita nel sangue.
Nell’intervista, il presidente ha riconosciuto di aver commesso «molti errori» nell’affrontare la piazza. Esilarante la spiegazione: «Abbiamo forze di polizia ridotte e siamo stati costretti ad impiegare l’esercito che è addestrato a combattere al Qaeda. Succederebbe la stessa cosa anche da voi». Peccato che la Siria disponga di una mezza dozzina di apparati di sicurezza e che la repressione letale — oltre 3 mila vittime — sia stata condotta con l’aiuto di una milizia fedele al clan alawita.
Assad, comunque, non appare disposto a cedere di un millimetro. Sostenendo la «differenza» del suo regime rispetto ad altri paesi, il presidente si è preso il merito di aver varato, immediatamente, delle «riforme» ma serve tempo per applicarle «in una società complicata». Discorsi che stridono con quanto avviene nelle città siriane dove ormai sono quotidiani gli scontri tra gruppi armati e le unità governative. L’inizio di quella che si avvia ad essere una vera guerra civile.
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