“È lesbica, da lei niente sangue” bufera sulla donazione negata

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ROMA – È lesbica, vuole donare il sangue ma si sente rispondere: «No grazie». «La relazione con la sua compagna», per il medico, «comporta rischi di trasmissione di malattie infettive». Ma lei, Licia M., 39 anni, impiegata in uno studio privato, non ci sta e denuncia «la discriminazione» consumata con il diniego del medico dell’Umberto I, il policlinico universitario più grande d’Europa. Le associazioni “a difesa” insorgono: «Vietare la donazione in base all’orientamento sessuale», per Fabrizio Marrazzo del Gay center e Roberto Stocco dell’Arcigay romano, «è fuori legge». «Sia fatta piena luce sull’episodio», esortano. Dall’Umberto I, però, Gabriella Girelli, direttrice del Centro trasfusionale, frena: «Il diniego è stato opposto non per l’omosessualità  ma per i rischi valutati dal medico che l’ha ascoltata». «Non esiste alcuna legge che vieta agli omosessuali di donare sangue», continua, «solo le persone a rischio non possono farlo ed è il medico che le visita a stabilire se, sulla base del colloquio, esistano o no pericoli per il paziente ricevente».
In altre parole il no del medico sarebbe legato ai rischi di malattie infettive trasmissibili con il sangue e non alle scelte sessuali della donna. Ma c’è un ma: «La relazione di un donatore con un’altra persona», dice Girelli, protocolli clinici alla mano, «donna o uomo che sia, deve durare da almeno quattro mesi». Come dire, la paziente può tornare «tra qualche settimana». «Ma la relazione con la mia compagna», sostiene Licia M., «è stabile e dura da più di quattro mesi». «La direttrice del Centro», aggiunge, «non è ben informata». «Sulla correttezza dell’operato dei miei collaboratori», ribatte Girelli, «metterei la mano sul fuoco».
Dopo aver confidato al medico di convivere con la sua compagna, Licia M., accompagnata da un’amica in ospedale, si è «trovata di fronte alla triste sorpresa». «Nei miei confronti», dice, «si è consumata una discriminazione: vivo e ho rapporti stabili con la mia compagna da oltre quattro mesi, quindi sono una possibile donatrice escludendo fattori di rischio legati a rapporti sessuali promiscui». «A volte», ammette Girelli, «si esagera nello scrupolo, ma le insidie vanno valutate con rigore». Di più non dice – appigliandosi al «segreto professionale del medico» – neanche di fronte alla denuncia che la stessa paziente ha fatto con nome e cognome.
«Negli ambulatori del Centro», racconta Licia M., «un medico mi ha rivolto una serie di domande, anche sulla mia vita privata e, di fronte alla dichiarazione della mia omosessualità , mi ha detto che non potevo donare il sangue perché il mio rapporto è considerato a rischio per la trasmissione di malattie infettive». «Ma con la mia compagna non ci tradiamo», continua, «ci amiamo e rispettiamo come e forse più di tante altre coppie».
Del tema “omosessualità  e donazioni” si sta occupando il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa i cui indirizzi sono attesi per dicembre: su spinta dei Paesi del nord Europa, sembra prevalere l’orientamento a considerare ad alto rischio l’omosessualità  maschile.


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