I pm di Napoli acquisiscono cento telefonate di Lavitola

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NAPOLI – Una linea netta tirata tra le inchieste di Napoli e di Pescara. Un’ossessione che affiora dalle carte delle due indagini: i fondi per l’editoria su cui mettere puntualmente le mani, oltre 20 milioni di euro in sette anni, quelli intascati da Valter Lavitola. E la solita ingenuità : parlarne al telefono con il premier e gli amici potenti per spingere, velocizzare, incassare. Dalla prima telefonata dell’ottobre 2009 in cui Lavitola rivolge al premier la richiesta di accelerare («Eh, sennò salta il mio giornale, ma anche Libero, anche quelli di sinistra») fino al momento in cui sbotta, con Mauro Masi, ex responsabile del dipartimento fondi per l’editoria di Palazzo Chigi: «Ho capito, te ne fotti».
C’è una traccia, composta di circa cento telefonate, che ormai collega la prima tranche di indagini appena chiuse a Pescara (a carico dell’imprenditore Giuseppe Spadaccini, accusato di una mega evasione fiscale) con l’inchiesta della Procura partenopea già  aperta da tempo, a carico del faccendiere amico del premier, tuttora latitante, Lavitola. Sono state trasferite a Napoli le conversazioni in cui Lavitola “preme” su esponenti istituzionali per ottenere i fondi destinati a L’Avanti!, l’ex gloriosa testata da lui diretta fino a settembre. Non è escluso un vertice tra i pm delle due città .
Il faldone con il centinaio di intercettazioni che riguardano Lavitola – sia su trascrizione cartacea, sia sui relativi file audio – è arrivato da pochi giorni a Napoli. Destinatari, i pm Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio, già  autori dell’inchiesta Berlusconi-Lavitola-Tarantini. Ma a Napoli continuano eccome gli accertamenti su Lavitola, diplomatico in pectore degli affari italiani all’estero, e ancora consulente di Finmeccanica, rappresentante del governo Berlusconi per i paesi del Centro e Sud America, e con esiti non irrilevanti, anche imprenditore privato in terra straniera.
L’inchiesta che riguarda gli affari sporchi dell’ex editore dell’Avanti! è divisa in due articolati filoni. Il primo conduce alla truffa che avrebbe eroso cospicui fondi dell’editoria a fini privatistico-personali. Scrive già  a settembre il gip Amelia Primavera che tra i filoni da approfondire c’è quello della «malversazione, il dirottamento e l’utilizzo per finalità  diverse, operato sempre dal Lavitola, dei fondi e dei finanziamenti erogati dallo Stato all’Avanti!, edito attraverso la International Press dallo stesso Lavitola, dal Dipartimento editoria» di Palazzo Chigi. Solo in un anno, ha accertato la Procura, Lavitola incassa più di 2 milioni e mezzo come contributo. E dal 2003 al 2009 sono oltre 20 milioni. Quando il pm Piscitelli e i detective della Digos e della Guardia di Finanza cominciano poi a spulciare i documenti sequestrati alla “International Press” trovano troppi nodi, molte cifre che non quadrano. A cominciare dalle carte false che i fornitori della cooperativa editrice avrebbero offerto a supportare la legittimità  di quei fondi, in misura tanto cospicua.
L’altro binario, non meno complesso, è centrato sull’ipotesi di corruzione internazionale che parte dal cuore di Roma e arriva a Panama: alle commesse aggiudicate a Finmeccanica soprattutto grazie ai buoni uffici di Lavitola e al lavoro di agenzie territoriali, i cui manager sono, come nel caso dell’intraprendente Karen de Gracia Castro, legati a doppio filo alle vicende pubbliche e private di Lavitola.


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