Banche italiane al contrattacco “Sbagliati i calcoli europei possibili anche ricorsi legali”
MILANO – Le banche italiane tentano il contrattacco. Hanno due settimane per dimostrare all’Eba, e alla finanza mondiale, che non sono certo tra le meno solide e capitalizzate, in Europa. Non hanno davvero bisogno di 14,7 miliardi di patrimonio, il doppio dei big francesi, il triplo dei tedeschi. Domattina, per presentare il volume “Le banche e l’Italia”, davanti al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, i grandi banchieri confluiranno a Roma, all’Abi che li rappresenta. Sarà un primo momento di organizzazione della resistenza. Il tempo è poco, le speranze anche ma gli argomenti non mancano. Comunque qualcosa si farà , dal minimo di una lettera di protesta all’autorità di Londra all’esplorazione di ricorsi legali, che un istituto non esclude a priori.
La votazione delle misure Eba di rafforzamento bancario, presentate venerdì e approvate dalle singole banche centrali, da una parte consola dall’altra disillude. Risulta che il via libera sia avvenuto a maggioranza, dopo voto contrario della Banca d’Italia e di Spagna. Forse anche di altri, ma bastava la metà dei 27 paesi membri (e il voto dei piccoli “rigoristi” del Nord conta come quello dei “big” latini) a far passare la risoluzione che, a detta di molti, ha favorito gli istituti tedeschi e francesi, specie permettendo loro di conteggiare le plusvalenze fittizie sui titoli di stato domestici, a tripla A. Viceversa le banche italiane pagano gli investimenti in Btp, ora da svalutare perché in difficoltà . «Non per questo il debito italiano farà default – brontola un banchiere –. Ora chi comprerà i Btp alle aste del Tesoro? Si è già notato venerdì scorso quanto sia andata male l’asta Btp». Venerdì il decennale ha sfondato il tasso del 6%. Il paradosso, ripetuto tra le file delle banche coinvolte (quelle già sottoposte a stress test: Intesa, Unicredit, Mps, Banco popolare, Ubi) risiede anche nel fatto che Andrea Enria guida l’Eba, Vittorio Grilli presiede l’Efsf, Mario Draghi la Bce. Un filotto italiano, che non ha saputo scansare la batosta regolamentare. «Lo dovranno spiegare agli italiani, perché si è deciso di penalizzare il debito sovrano e le banche del paese, che ora per adeguarsi rischiano di limare i crediti a Pmi e famiglie», aggiunge.
Fino a metà novembre, quando gli istituti dovranno passare alle autorità centrali i conti del terzo trimestre e le effettive consistenze di titoli di stato, c’è speranza. Dopo sarà solo il caso di adeguarsi. O forse no. Qualche banchiere vede, nel principio del “buffer temporaneo di capitale”, «una profanazione dei principi contabili in essere, gli stessi con cui l’Eba ha svolto gli stress test bancari». La critica va all’obbligo, temporaneo, di porre una riserva negativa sui titoli che viaggiano sotto la pari, come gli italiani. Inoltre – lo si è già visto con i principi contabili Basilea 3, da adottare al 2019 ma già validi per le maggiori banche – il concetto di “temporaneo” per un mercato in crisi non esiste: «L’Eba crea un pericoloso precedente, il mark to market dei titoli sovrani – dice un altro banchiere –. Somiglia alla logica occhiuta di Basilea 3, dopo il crac Lehman. Anche oggi si pensano regole nemiche del ciclo economico, già fragile». C’è un aspetto tecnico, infine, su cui gli italiani daranno battaglia: sono le emissioni convertibili, del tipo Cashes (Unicredit, 3 miliardi) e Fresh (Mps, un miliardo). La nuova direttiva Crd 4 non sembra chiarire se siano davvero capitale Core Tier 1; le autorità presto dovranno esprimersi, perché la risposta modifica i deficit dei due istituti.
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