Fondo salva-Stati fino a mille miliardi via alla ricapitalizzazione delle banche

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BRUXELLES – E’ un’altra lunga notte europea. I capi di stato e di governo si sono avvitati ieri in una drammatica discussione sul taglio del debito della Grecia. Dall’esito del negoziato dipenderà  se Atene dovrà  o meno dichiarare «default». Questa volta, di fronte ai leader politici europei, ci sono i veri interlocutori di questa crisi che si trascina ormai da due anni: le banche e il sistema finanziario internazionale. Un accordo con gli istituti di credito che consenta di ridurre il debito greco a dimensioni gestibili, eviterebbe la dichiarazione di default e scongiurerebbe l’apertura di una nuova crisi finanziaria. Infatti, se le agenzie di rating dovessero dichiarare che la Grecia è in bancarotta, scatterebbero le compensazioni previste dai cds («credit default swaps»), le assicurazioni contro il default, e questo aggraverebbe ulteriormente l’onere del sistema finanziario internazionale.
Ma, secondo gli esperti della Commissione e del FMI, per arrivare a un risultato accettabile occorrerebbe un taglio del valore nominale dei bond greci attorno al cinquanta per cento. Le banche, fino a ieri a tarda sera, non sembravano disposte ad accettare volontariamente di accollarsi perdite di queste dimensioni, valutate a più di cento miliardi di euro.
La lunga mediazione affidata a Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro e presidente del comitato Ecfin che riunisce i tecnici dei governi, sembra arrivata ad uno stallo. A tarda sera, sono direttamente Merkel e Sarkozy a prendere in mano la situazione e a negoziare con le banche dei rispettivi Paesi: gli istituti francesi e tedeschi sono infatti quelli maggiormente esposti nei confronti del debito greco.
Per fare fronte alle perdite che comunque la svalutazione del debito greco comporterà , i leader europei hanno nel frattempo concordato una massiccia ricapitalizzazione dei propri istituti bancari. Entro giugno dell’anno prossimo, tutte le banche di interesse sistemico dovranno dotarsi di una capitalizzazione «sana» (core-tier 1) pari al 9 per cento degli impegni. Si tratta di una percentuale molto più alta di quella prevista dagli accordi di Basilea. Secondo calcoli prudenziali, per ottemperare a questo nuovo obbligo, gli istituti di credito dovranno recuperare sul mercato finanziamenti per almeno cento miliardi di euro.
La prassi decisa dal vertice è quella che era stata proposta dalla Germania: le banche dovranno finanziarsi da sole. Se non ce la faranno, interverranno i governi, ma sospendendo il pagamento dei dividendi agli azionisti e dei bonus ai manager. Solo in quei Paesi, come la Grecia, in cui i governi non hanno la possibilità  finanziaria di salvare le proprie banche, interverrà  in loro aiuto il Fondo salva stati europeo, l’EFSF, di cui si è deciso il potenziamento. Anche questa partita, per quanto non controversa, è comunque gravida di incognite. Infatti, se la Francia dovesse intervenire pesantemente in aiuto delle proprie banche, il suo debito sovrano potrebbe vedersi togliere dalle agenzie il rating tripla A, che viene attualmente utilizzato, con quello di Germania, Olanda, Austria, Finlandia e Lussemburgo, a garanzia dei finanziamenti dell’EFSF.
Altra questione che, nella notte, restava ancora parzialmente da risolvere, è proprio il potenziamento della capacità  di intervento del fondo salva stati.
Nella bozza di conclusione, i leader si propongono di «moltiplicare di diverse volte» la potenza di fuoco dell’EFSF. Fonti diplomatiche parlano di quadruplicare la massa di capitali che sarebbe in grado di muovere. I belgi dicono che dovrebbe arrivare almeno «a più di mille miliardi». Dopo che i tedeschi hanno bocciato la proposta francese di consentire al Fondo di finanziarsi presso la Bce, l’ipotesi più credibile è quella di utilizzare i capitali raccolti dall’EFSF per «assicurare» una quota delle emissioni del debito dei Paesi sotto attacco, come l’Italia. Garantendo il primo 25 per cento delle possibili perdite di valore delle emissioni, l’EFSF potrebbe in effetti quadruplicare la portata del suo intervento.
Ma la questione non è ancora risolta. Innanzitutto perchè il Fondo ha già  impegnato con Portogallo e Irlanda oltre 150 miliardi di euro. Ne restano poco più di 250 miliardi che comunque, anche con l’effetto moltiplicatore del leverage, non basterebbero a salvare un Paese come l’Italia. Da qui l’idea di fare ricorso al contributo dei Paesi extra europei creando, accanto all’EFSF, un secondo evuicolo finanziario aperto al contributo di investitori terzi.
Ma basteranno queste indicazioni necessariamente vaghe a rassicurare i mercati? Difficile dirlo. Ieri, però, un importante contributo alla battaglia dei capi di governo per salvare la moneta unica è arrivato dall’intervento di Mario Draghi, prossimo presidente della BCE, che ha assicurato che la Banca centrale intende proseguire sia gli acquisti di bond sul mercato sia il finanziamento praticamente illimitato delle banche in crisi di liquidità .


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