Gli islamici tunisini: «A noi la guida del governo»
Un conto lunghissimo, tormentato da possibili brogli. I risultati finali, è l’annuncio ufficiale, dovrebbero essere comunicati soltanto domani. Ma pur nella coda (prevedibile) di ricorsi e micro presidi di protesta, nessuno può contestare la sostanza del voto. Ennahda ha già conquistato 82 seggi. E’ il partito cardine della nuova Tunisia, e il suo leader storico, Rachid Gannouchi ne dà piena dimostrazione fin dalla mattina, rivendicando la carica di primo ministro per il segretario Hamadi Djebali. Certo, Gannouchi apre all’ipotesi di un governo «di vasta coalizione», e propone come presidente della Repubblica «di garanzia», l’attuale premier pro tempore Beji Caid Essebsi. Ennahda, dunque, non si nasconde. Al contrario, dichiara lo stesso Djebali alla tv satellitare Al-Arabiya, «il partito è pronto a guidare il Paese».
Ora, il problema non è tanto con chi. Il secondo partito classificato, il Cpr (Congresso per la Repubblica) è lontanissimo: 27 voti, ma, soprattutto, non ha alcuna intenzione di rimettere insieme i frammenti modernisti in un blocco da contrapporre agli islamici. Ieri mattina il leader Moncef Marzouki ha ripetuto all’infinito un concetto: «Abbiamo già avviato il confronto con Ennahda. È un partito moderato con cui si può governare». E, quando arriva il turno del Corriere, Marzouki si lancia su scivolose similitudini: «Ennahda è paragonabile alla Democrazia cristiana ai tempi di Aldo Moro. E non esiste un solo Islam, come non esisteva un solo comunismo. Non possiamo mettere sul medesimo piano gli estremisti radicali e gli islamici moderati. Sarebbe come considerare nello stesso modo Pol Pot e Berlinguer».
Comunque sia, riferimenti storici a parte, una cosa si è capita: i dirigenti degli altri 3-4 partiti ammessi alla Costituente sono già in coda davanti agli uffici di Gannouchi e di Djebali. Il numero uno di Ettakatol (altra formazione di centro sinistra, 17 seggi secondo gli ultimi parziali) Mustafa Ben Jafaar, si è addirittura candidato alla presidenza della Repubblica.
Nel futuro emiciclo non ci sarà molto altro di politicamente significativo. C’è la sorpresa della lista Petition Populaire guidata dall’imprenditore Hachmi El Hamdi, che ha condotto una spregiudicata campagna elettorale utilizzando la sua televisione satellitare (Tv libre) con base a Londra. El Hamdi, vecchio sodale del dittatore Ben Ali, rischia di perdere tutti o buona parte dei 18 seggi conquistati per aver infranto le regole elettorali. In realtà , la dinamica politica è già oltre la questione delle alleanze. Ennahda, dunque, dà le carte, d’accordo. Ma per fare cosa? Leggere «il programma dei 365 punti» presentato a settembre dagli islamici è un esercizio poco produttivo. «Democrazia parlamentare», «rilancio dell’economia», sono contenitori tanto condivisi, quanto generici. Il governo dovrà fronteggiare, innanzitutto, la crescente disoccupazione giovanile che sta corrodendo la tenuta sociale del Paese (leggi, in particolare, immigrazione clandestina verso Italia e Europa). Nello stesso tempo Ennahda, ogni giorno, sarà chiamata a superare il test di affidabilità democratica. Donne, velo, ma anche scuola, divorzio. L’opinione pubblica laica è delusa, ma ancora iper vigile. Basta una parola ambigua di Gannouchi (ieri ha detto: «Noi siamo arabi e la nostra lingua è quella araba») per rilanciare la complicata discussione sull’identità della nuova Tunisia.
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