Pensioni d’oro, “baby” e invalidità  manovra previdenziale al ribasso

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ROMA – Le pensioni degli italiani sono appese ad una lettera. Nella notte a Palazzo Grazioli Silvio Berlusconi tenterà  la missione ormai impossibile di trovare il consenso della Lega su una formula che possa accontentare Bruxelles. Un compito molto complicato con il Quirinale che invita a fare presto e i mercati già  pronti ad un ulteriore bagno di sangue. La prova della verità  si avrà  stamani quando il documento d’impegni sarà  recapitato ai partner europei e nel pomeriggio quando il premier arriverà  al vertice.
La situazione non è affatto semplice. Il nodo delle pensioni di anzianità , quello auspicato dall’Europa, non è sciolto. Bossi e la Lega, dopo una tormentata giornata di incontri, hanno espresso un deciso «nyet» ad ogni ipotesi di innalzare l’età  pensionabile di anzianità , istituto che in Europa ha solo l’Italia, e che quest’anno consente di andare in pensione con la cosiddetta «quota 96», ovvero con 61 anni di età  anagrafica e 35 di contributi .
Le due soluzioni «minimali», quelle che hanno fatto sperare in un accordo al ribasso per tutta la giornata, sono appese ad un filo assai sottile e non riescono a riscuotere il consenso dei Lumbard. L’ipotesi del ritorno dell’ex scalone Maroni, che in pratica significherebbe innalzare nel 2012 di un anno l’età  di uscita in anzianità , anticipando «quota 97», cioè 62 anni più 35 di contributi e fermando a quel punto la salita, non piace al Carroccio. La seconda ipotesi minimale, che sembra potrebbe essere digerita dallo stesso Maroni, è quella degli incentivi: invece di una rivalutazione della pensione, pari al 2 per cento l’anno, come è oggi previsto, chi accetta volontariamente di restare al lavoro invece di beneficiare del diritto ad andare in pensione potrebbe godere di una rivalutazione del 2,5 per cento. Si tratterebbe di un meccanismo volontario, che avrebbe dei costi per finanziare gli incentivi ma in linea con la riforma Dini e il sistema contributivo.
Se queste sono le ipotesi che hanno speranze assai limitate di passare sotto il tritacarne della Lega, sugli altri argomenti Bossi sembra più morbido. Per le pensioni di vecchiaia delle lavoratrici private, ad esempio, si accetterebbe di ridurre il percorso verso i 65 anni, a sette anni, partendo dal 2013 invece di prevedere una transizione di dodici anni, come stabilito dalla manovra d’estate (aumenti graduali dal 2014 fino al 2026).
Secondo quanto riferito dalla Gelmini a Ballarò si sarebbe raggiunto un accordo sulle pensioni di vecchiaia con la Lega per andare a 67 anni. Tuttavia già  la legislazione attuale prevede che si vada a 66 anni e che nel 2013, con la riforma per le aspettative di vita, si salga a 66 anni e tre mesi.
Un punto sul quale i leghisti sarebbero favorevoli è quello delle pensioni di invalidità  (oltre ad interventi sulle reversibilità ). La tesi bossiana è che al Sud le pensioni di invalidità  sono 4 volte quelle della Germania e dunque c’è spazio per intervenire, presumibilmente stringendo i criteri di assegnazione e passando al setaccio malversazioni e truffe.
Altro fronte sul quale la Lega darebbe il disco verde è quelli di un prelievo sulle baby pensioni: in Italia sono circa 500 mila coloro che beneficiando di vari leggi sono andati in passato tra i 40 e i 50 anni. Ma il percorso è spinoso perché si dovrebbe intervenire sui diritti acquisiti. Altro tema che potrebbe essere toccato, e troverebbe il via libera della Lega, è quello delle pensioni d’oro: tuttavia un intervento è già  stato fatto con la manovra d’agosto con l’imposizione di un contributo di solidarietà  del 5-10 per certo agli assegni che superano i 90-150 mila euro.
Sul fronte delle parti sociali il nuovo dibattito sulle pensioni ha avuto l’effetto di ricompattare i sindacati. Cgil, Cisl e Uil si dicono nettamente contrari alla riforma. Bonanni (Cisl) chiede che prima il governo dia l’esempio e metta in campo la patrimoniale. Angeletti (Uil) chiede di tagliare i costi politici e di intervenire, piuttosto, sulle pensioni dei parlamentari. E non esclude, «se necessario», l’eventualità  di scendere in piazza. La Cgil – come già  sostenuto dalla leader Susanna Camusso – parla di «accanimento».


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