L’incontro al Colle e l’ombra del cambio

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ROMA — Un’ansia preoccupata che sembra virare verso la sfiducia. Le recriminazioni di chi si sente pressato da ogni parte. Un umor nero aggravato dall’umiliante schiaffo delle ironie franco-tedesche di domenica, a Bruxelles. Ma anche, nonostante il grande allarme, la voglia di provare a rispondere. Di riannodare i fili con gli alleati. Di dimostrare capacità  operativa. Insomma, di tentare un’ardua resistenza. Dunque di non fare — non ancora, almeno — quella rinuncia che gli viene chiesta da più parti, «per carità  di patria».
È la prima volta che succede, ma a quanto pare Silvio Berlusconi, «l’uomo del fare» abituato a spargere sempre intorno a sé ottimismo, ha ieri esplicitamente ammesso davanti a Giorgio Napolitano le proprie difficoltà .
Di più: nel colloquio di mezzogiorno al Quirinale si è materializzata pure l’ipotesi di un suo passo indietro per far nascere un governo alternativo non guidato da lui, ma con la stessa maggioranza (magari allargata all’Udc), e pure questo accadeva per la prima volta. Ipotesi clamorosa di cui l’intero centrodestra ha discusso fino a tarda notte, ragionando su Gianni Letta e su Renato Schifani come due possibili candidati premier, in uno scenario che è ormai di quasi-crisi. Ipotesi che il Cavaliere, nel faccia a faccia con il capo dello Stato, ha comunque respinto, ritrovando a quel punto la proverbiale grinta. Di chi insiste ad arroccarsi e a combattere.
Resta da vedere se lo scatto d’orgoglio con cui Berlusconi si è congedato dal Colle dopo 50 minuti di botta e risposta «molto franco» (cioè molto duro) porterà  Palazzo Chigi a esprimere «fatti, cifre e date certe», purché con decisioni rapide, come l’Europa ci sollecita ora con un drastico diktat e come lo stesso presidente della Repubblica raccomanda con forza da mesi.
Non ci credeva troppo, ieri, Napolitano. Prevedeva che l’incontro sarebbe stato «interlocutorio», soltanto «un passaggio», in attesa di un complicatissimo Consiglio dei ministri cominciato a tarda sera e concluso senza alcun accordo. Se ne riparlerà  da oggi, ma in assenza di garanzie legate a un qualche risultato. Il buon esito finale dipenderà  dal fatto che la Lega scenda dalle barricate sul nodo pensioni e che il ministro Tremonti sappia escogitare una griglia di misure per lo sviluppo in grado di convincere i nostri partner dell’euro e i mercati finanziari.
E allora, come pensate di superare l’impasse? Che cosa andrete a dire a Bruxelles, mercoledì? Avete un accordo per un pacchetto di provvedimenti strutturali? E soprattutto: li condividete, tra voi della maggioranza? Potete assicurare questa coesione? Badate che le risposte devono essere responsabili, quindi all’altezza del nostro ruolo in Europa.
Sono queste le domande e le riflessioni che il capo dello Stato ha girato al Cavaliere, dopo aver ascoltato la sua cronaca personale sugli incontri riservati e sulle riunioni collegiali che ha avuto al vertice Ue. Un resoconto nel quale Berlusconi alternava ammissioni inquiete e intimorite alla sua solita sicurezza: «Ho dato garanzie, mi hanno creduto». Dichiarandosi stupefatto dell’increscioso siparietto messo in scena da Sarkozy e dalla Merkel sull’affidabilità  del governo: «Davvero, confesso che non riesco a spiegarmelo».
Giorgio Napolitano invece se lo spiegava bene, per quanto fastidio possa avergli procurato, dato che giovedì scorso è stato il destinatario di una telefonata carica di diffidenza da parte della cancelliera tedesca (e di una chiamata, parallela, del presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Junker).
Tra le altre cose, la Merkel girava al presidente i propri dubbi e le proprie perplessità  sul futuro politico dell’Italia, vale a dire sulla capacità  di sopravvivenza dell’esecutivo e sugli scenari che si aprirebbero nel caso di una sua improvvisa caduta. Che cosa accadrebbe, chiedeva, in una simile evenienza?
Il Quirinale non ne vuole neanche parlare, ovviamente, finché il governo ha la maggioranza. Ma ieri qualcuno ha ritenuto di interpretare come delle pre-consultazioni da crisi imminente certi contatti avviati al Quirinale. Ad esempio l’udienza con il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, e altri analoghi sondaggi con il mondo politico. In realtà  la sua ricognizione mira a verificare se, quantomeno in questa fase cruciale, sia praticabile la possibilità  di condividere alcune scelte. Così da far apparire più convincente all’Europa l’impegno italiano.
Una speranza da lui evocata spesso, da giugno a oggi, invocando appunto uno spirito di «coesione nazionale» che ha portato al varo in corsa del primo decreto sul risanamento dei conti pubblici, in luglio, e sulla rinuncia delle opposizioni a fare filibustering parlamentare sull’altro che è seguito in agosto. Il problema è che, come Napolitano ha ricordato con un’amara denuncia mercoledì, mettendo in mora il governo, quei decreti restano «in attesa di attuazione» e aspettano di essere integrati con misure per lo sviluppo e la crescita divenute «impellenti».


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