Liberi dalla paura tra i baschi in festa per l’addio alle armi

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BILBAO.  Le facce sono sorridenti, gli occhi lucidi per l’emozione. Non accadeva da 43 anni: cinquantamila baschi scendono in piazza, e festeggiano una vittoria insperata. Intere famiglie – nonni, genitori e figli, rappresentanti di tre generazioni – ridono, si salutano, si abbracciano; aggiungono un colore umano a un atto essenzialmente politico. Infatti, questa non è una manifestazione di protesta, è la celebrazione di una vittoria. La lotta armata è finita, l’Eta si è piegata alla volontà  popolare. Il comunicato di giovedì 20 ottobre è netto: annuncia l’abbandono definitivo della violenza da parte del gruppo terrorista. È la chiusura di un capitolo lungo 43 anni scandito da assassinii, sequestri e estorsioni. Per le strade di Bilbao si celebra la svolta destinata a segnare la recente storia democratica.
Molti piangono: sono lacrime di gioia, ma anche di rabbia per il risentimento trattenuto da decenni – gli anni “insanguinati” per le oltre 800 vittime fatte dall’Eta – rinfocolato dal pensiero di chi, oggi, non è più qui a festeggiare.
La sinistra – la sinistra basca «abertzale», patriota, nazionalista in lingua euzkadi – può concedersi il primo bagno di folla. Messi al bando, i reduci della vecchia Herri Batasuna, il braccio politico del gruppo armato, sono riusciti ad uscire dallo spettro dell’illegalità , e ad incassare un risultato che a molti sembrava impossibile. Invadono la loro capitale economica e politica, si prendono per mano. Leggono comunicati nella lingua euskera e in castigliano. Inalberano schiere di cartelloni con reclami di “Indipendenza” e “Porte aperte” per le centinaia di prigionieri ancora nelle carceri, con la richiesta di “Aministia”.
Il merito di tutto questo va ad un gruppo di uomini e di donne che, nel momento forse più critico del loro percorso politico, hanno avuto il coraggio di rompere con la linea radicale dell’Eta e hanno imposto una scelta di democrazia e di libertà .
Ci sono voluti cinque anni di dibattiti e confronti, di scontri e divisioni. Ma la svolta che ha segnato l’inizio della nuova era avviene nel 2009. Dichiarati fuori legge, spesso costretti alla semiclandestinità , i transfughi di Herri Batasuna elaborano un manifesto che rifiuta ogni sostegno all’attività  armata e imbocca la via pacifica. Il cosiddetto accordo di Gernika viene sottoposto a referendum: l’80 per cento della base lo accoglie. Sarà  parte integrante dello statuto del nuovo partito, Sortu, nato nel frattempo per partecipare alle elezioni amministrative del maggio del 2010.
Il governo centrale di Madrid non si fida. Si rivolge al Tribunale supremo e chiede che anche Sortu sia dichiarato fuori legge. L’organo giuridico accoglie la richiesta ma c’è un ricorso alla Corte costituzionale, che sospende la sentenza e consente alla nuova formazione di partecipare alle elezioni.
Isolati politicamente ma sostenuti dal consenso popolare, gli eredi di Herri Batasuna ottengono un successo insperato. Per la prima volta nella sua storia, la sinistra «abertzale», raggruppata sotto la coalizione Bildu, raggiunge il 25 per cento dei voti in tutti i Paesi baschi. È, soprattutto, la conferma della scelta compiuta: la gente è stanca della violenza. Nella base resta un 30 per cento che continua a sollevare critiche. La scelta però è stata compiuta, non si torna indietro.
L’ultima spinta arriva dai 750 militanti detenuti nelle carceri francesi e spagnole. L’80 per cento dei vecchi quadri dell’Eta sottoscrive il manifesto di Gernika e dichiara finita la lotta armata. È il settembre del 2011. Il tempo stringe. Da due mesi Luis Zapatero ha rassegnato le dimissioni e annunciato le elezioni anticipate per il 20 novembre. La sinistra «abertzale» vuole partecipare ma sa che la sua legittimità  giuridica rischia di restare in un limbo di incertezza. Ci vuole una nuova spinta politica: una «unilaterale e definitiva» presa di posizione dell’Eta.
Sono momenti drammatici. C’è chi è tentato di giocarsi la partita con il nuovo governo, che tutti i sondaggi attribuiscono al Partido popular di Mariano Rajoy. Ma c’è anche chi teme che con la destra al potere la trattativa futura, quella che detterà  le fasi per il dissolvimento delle banda terrorista, rischi di arenarsi. Il partito Sortu scioglie la struttura Ekim, i commissari dell’Eta interni usciti sconfitti nelle assemblee del febbraio 2010. L’atto finale, decisivo, ha bisogno di una impronta internazionale. Si forma un Gruppo di contatto con quattro premi Nobel per la pace e figure di spicco dell’Internazionale socialista, tra cui Pierre Joxe, ex ministro dell’Interno francese. Parigi ha avuto e avrà  un ruolo determinante nei negoziati dei prossimi mesi e anni. Si arriva alla conferenza di San Sebastià n con l’invito a dichiarare la fine della lotta armata seguita, dopo tre giorni, dallo storico annuncio da parte dell’Eta.
La strada resta in salita. Ci sono tre problemi da affrontare: le 829 vittime da tutelare, i 750 detenuti con diverse posizioni e condanne, l’immenso arsenale da consegnare. Le elezioni del 20 novembre condizionano le mosse. Il Partito nazionalista e la sinistra basca premono per un gesto immediato nei confronti dei detenuti. Ma vedere uscire uomini e donne responsabili di attentati e omicidi susciterebbe la sensibilità  dei familiari delle vittime. Avrebbe un peso sul risultato elettorale. Sia Zapatero, sia il candidato del Psoe Alfredo Pérez Rubalcaba, sia quello del Pp Mariano Rajoy hanno seguito le fasi del negoziato senza interferire. Ma hanno deciso di non affrontare il tema Eta in questo scampolo di campagna e di affidare la gestione successiva del negoziato al governo che verrà  eletto. Ogni mossa, temono i grandi partiti spagnoli, verrebbe letta con sospetto. Tutti penserebbero che lo Stato ha trattato la resa segretamente. Ne trarrebbero vantaggio le posizioni più radicali.
«Ci vorrà  molto tempo, pazienza, memoria e perdono», prevede Inaki Soto Nolasco, il giovane direttore di Gara, il quotidiano considerato vicino all’Eta. Nel grande corteo di Bilbao, adesso sorride anche lui. Non lo faceva da anni, ammette. Poi con un ampio gesto abbraccia questo popolo raggiante: «Sono stati loro a decidere. Siamo solo all’inizio, ma è un ottimo inizio. La pace ha finalmente trionfato».


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