«A.A.A. cercasi magazziniere Incline alla subordinazione»

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LIVORNO – «Ditta ingrosso componenti meccaniche cerca tirocinante per gestione magazzino». È un annuncio pubblicato dal Centro per l’impiego di Livorno, mansioni di logistica e di amministrazione per 8 ore al giorno. Offerta uguale a tante, se tra i requisiti non vi fosse una condizione: il lavoratore deve sentirsi «incline alla subordinazione, al rispetto dei regolamenti aziendali e delle disposizioni impartite». Precisazione che ha mandato su tutte le furie, con un tam tam di 5 giorni, gli utenti di internet. La prima ad accorgersene è stata una sceneggiatrice di fumetti livornese, Francesca Santi, 33 anni, che ha ritagliato la pagina del «Cercalavoro» di un giornale locale, ha scannerizzato quelle righe e le ha postate sul suo blog «Spremuta d’inchiostro».

«È agghiacciante – scrive – mi sono venuti i brividi quando l’ho letta e ho pensato che non abbiamo tutti i torti a essere così pessimisti per il futuro». Tra gli amici c’è chi commenta mescolando pragmatismo e vernacolo: «Io c’andrei a quel colloquio. Ma solo per il gusto di dirgli “Io lavoro, ma non subordino proprio una s…”.». La segnalazione di Francesca è un sasso nello stagno: tramite blog, twitter, social network, la celebrità  dell’annuncio diventa definitiva. E oggi l’offerta di lavoro è di nuovo sui giornali livornesi, ma per altri motivi. «Siamo vincolati al rispetto della riservatezza chiesta dall’azienda – spiegano dagli uffici del Centro per l’impiego -. È uno spazio che offriamo, se i requisiti non sono in contrasto con la legge come possiamo respingerli?». Livorno, ricorda il quotidiano, è al secondo posto nel centro nord per tasso di ragazzi tra 15 e 29 anni che non studiano nè lavorano (uno su 5).

«L’impressione – risponde l’assessore provinciale al lavoro Ringo Anselmi, ex segretario regionale Fiom in Toscana e Emilia – è che non ci siano più regole nel mercato del lavoro. I rapporti di lavoro hanno sempre più bisogno di normative serie, altrimenti il rischio è che l’azienda chieda ciò che le pare e nessuno controlli. In questo caso si trattava di un tirocinio, che servirebbe ad aiutare a trovare lavoro, non a sfruttare le persone». La crisi rischia insomma di spingere ad accettare l’inaccettabile, ad abbassare le difese: «In un periodo normale le persone forse reagirebbero in modo più energico, ma c’è paura di non avere un lavoro», riflette Enrico Sassano, direttore della Caritas di Livorno. «Vale per tutto il mondo, come dimostrano le proteste di questi mesi. Il lavoro è sinonimo di casa e a Livorno è un problema che sentiamo sempre di più. È una questione che deve essere presa di petto e per quello che possiamo diamo una mano. Resta che le persone sono persone, non individui. Non si possono negare ai lavoratori diritti essenziali».


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