Pd, diciassette correnti in un partito solo

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L’incontro più importante per il Partito democratico sarà  anche il meno pubblicizzato: si terrà  domani, a Firenze. In quest’orgia di iniziative che le varie correnti del Pd stanno mettendo in piedi, potrebbe passare inosservato: nel capoluogo toscano si vedranno Renzi e Zingaretti, ossia i due futuribili e possibili leader del dopo-Bersani.
Il primo non nasconde le sue aspirazioni politiche. Il secondo lascia intendere di pensare solo al Campidoglio, ma nel suo partito sono sempre di più quelli che lo spingono a rompere gli indugi: lo dimostrano i tre minuti di ovazioni che ha ricevuto a Bologna, ospite dell’iniziativa organizzata dal tandem Civati-Serracchiani.
Attorno a loro — o contro di loro — si muovono le molte correnti del Pd. Già , molte, anzi moltissime: se ne possono contare ben diciassette, roba da far impallidire la Dc del tempo che fu. Il moltiplicarsi delle componenti (con una buona dose di ipocrisia preferiscono chiamarle così al Partito democratico) non deve però sorprendere più di tanto: c’è il rischio che si voti nel 2012 e la corrente è un comodo paracadute per chi spera di essere candidato in Parlamento. I giovani (per tali, in Italia, si intendono i quarantenni e i trentenni) sono quelli più in movimento. Si possono dividere in due grosse categorie, i semi-rinnovatori e i rinnovatori. I primi preferiscono non mettere in discussione il segretario, anche se ovviamente pensano al dopo. Tra di loro, particolarmente battaglieri i cosiddetti giovani turchi, o anche i Quarantenni. Sono dalemiani e bersaniani come Stefano Fassina, Andrea Orlando e Matteo Orfini.
Il 15 ottobre hanno indetto un convegno all’Aquila e rappresentano l’ala sinistra del partito. Sono gli anti-Renzi per eccellenza. Lo temono e contrastano la sua linea di politica economica, simpatizzano per Zingaretti, che hanno invitato al loro incontro. Il sindaco di Firenze, invece, è il rinnovatore a tutto tondo, quello che sogna il Pd a vocazione maggioritaria. E infatti confida agli amici: «Se mi candidassi prenderei da solo molti più voti moderati di quelli che Casini potrebbe trascinare a sinistra». Renzi non ha paura di dire che le pensioni vanno riformate e che l’articolo 18 non è un tabù. Anche per questa ragione piace a molti Modem, ossia alla principale corrente di minoranza del Pd. A lui guardano con interesse Gentiloni e Realacci, che come lui provengono dalla Margherita. Su Renzi potrebbe fare un pensierino persino Rutelli.
E sempre sul sindaco di Firenze, con grande discrezione, ha appuntato il suo interesse Veltroni. Non a caso alcuni esponenti che fanno parte dell’area dell’ex segretario simpatizzano con Renzi. Dice, per esempio, Pietro Ichino: «È un errore fare i cordoni sanitari attorno a lui». Sulla politica economica, infatti, c’è feeling tra il sindaco e i veltroniani. È ovvio che lo segua con attenzione uno come Giorgio Tonini, secondo cui «non è rassicurante che le interviste dei responsabili economici del Pd coincidano con quelle di Vendola e Ferrero» (e ogni riferimento a Fassina è puramente voluto). Ma anche Enrico Letta (il quale, secondo i maligni, vorrebbe Bersani a Palazzo Chigi per poter guidare il partito), e i suoi sostenitori apprezzano alcune prese di posizione di Renzi, lontane anni luce da quelle della Cgil. E a ben vedere il manifesto dei T-party (i trentenni guidati da Gianluca Lioni, responsabile innovazione del partito), che ricalca le linee di politica economica di Giavazzi e Alesina, ha molti punti di contatto con il Renzi-pensiero.
I T-party, giovani franceschiniani e lettiani, rappresentano l’ultima nata tra le correnti del Pd e sono ancora in bilico tra i rinnovatori e i semi-rinnovatori. A questa seconda categoria appartengono Serracchiani e Civati: loro non contestano Bersani e invece ce l’hanno a morte con Renzi. Che è anche la bestia nera di Rosy Bindi: la presidente gioca una partita in proprio e sogna Palazzo Chigi. Ancora incerta l’area Marino: ogni tanto sta con Bersani, ogni tanto prende le distanze. Goffredo Bettini, invece, con il suo movimento «Oltre i partiti», pensa a un nuovo soggetto politico, ma resta legato a Zingaretti. Il quale Zingaretti sarebbe il candidato ideale anche di Dario Ginefra, che con una quarantina di giovani deputati, tra cui il lettiano Boccia, sta conducendo una battaglia per imporre il limite di tre mandati parlamentari.
In questo quadro, Bersani gioca su due tavoli. Da una parte con un drappello di fedelissimi, il cui leader è Vasco Errani, dall’altra con il più eterodosso Enrico Rossi, propugnatore dell’alleanza di sinistra con Sel e Di Pietro. D’Alema e i suoi per ora stanno con il segretario. Parisi sta per conto proprio, però sarà  a Firenze, da Renzi. Franceschini e Fassino, leader dell’area Dem, non hanno preso posizione sul futuro candidato premier, ma si sono riavvicinati ai veltroniani. Un discorso a parte meritano poi gli ex ppi di Fioroni: loro sperano nella deflagrazione dei due poli e nella nascita di un nuovo soggetto politico, in cui entrerebbero a fare parte, con la benedizione di Bonanni, insieme ai leghisti alla Tosi e ai moderati del Pdl, come Pisanu, Scajola, ma anche Sacconi.
In questa confusione si muovono Renzi e Zingaretti, bene attenti a non farsi risucchiare dai giochini di partito e dalle correnti, e intenzionati a non incrociare le spade tra di loro. Non ora, almeno, perché in futuro potrebbero essere costretti a farlo.


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