Devastato il villaggio della legalità 

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L’incursione al villaggio della legalità  di Libera a Borgo Montello, comune di Latina, è un pessimo segnale, mandato ai ragazzi dell’associazione di don Luigi Ciotti poche ore prima di un evento significativo, la commemorazione della figura di Cesare Boschin, il parrocco di Borgo Montello che denunciava i traffici di rifiuti, trovato incaprettato nella sua canonica nel marzo del 1995. «Guarda, hanno colpito la parte del tendone che oggi avrebbe dovuto accogliere i ragazzi – spiega Antonio Turri, di Libera Lazio – un messaggio preciso: qualcuno non vuole che in questo territorio si parli di mafia». E’ un poliziotto in pensione Turri, che negli anni ’90 ha indagato sulla tangentopoli pontina, abituato ad avere a che fare con la peggiore criminalità  della provincia di Latina. Ma ieri non riusciva a trattenere le lacrime, guardava i ragazzi del presidio di Libera e i rom del centro Alcarama venuti a dare solidarietà  e a ripulire lo scempio. Teme per loro, capisce che questo è il peggior segnale che ci possa essere: «Hanno chiamato don Ciotti, le altre associazioni, la prefettura. Ma nessuno dal comune, dalla provincia o dalla regione». Si chiama solitudine ed è la malattia mortale delle terre di mafia.
Il villaggio è nato su un ex campeggio confiscato a una proprietà  decisamente curiosa, un pescatore con un reddito di seimila euro annui e un romeno senza occupazione. Quattro ettari, che l’ex commissario prefettizio di Latina aveva affidato a Libera prima delle ultime elezioni comunali. Ieri mattina la protezione civile, che avrebbe dovuto partecipare all’evento, appena arrivata sul posto si è resa subito conto dell’incursione. I bagni realizzati in strutture di legno a pochi metri dal tendone centrale erano stati sventrati. Gli specchi distrutti uno ad uno, con un palo di acciaio. Gli sportelli degli armadi spaccati, i vetri fatti a pezzi, con i frammenti che arrivavano fino al viottolo di pietrisco bianco che corre attorno all’ex campeggio. Poi, aprendo la porta della struttura centrale, i volontari della protezione civile hanno subito capito che non si trattava di una semplice incursione di vandali. Hanno chiamato Libera e poi sono andati via: «E’ poco sicuro rimanere qui».
La polizia scientifica non ha trovato molte tracce, a quanto sembra. L’unico segno tangibile degli autori del raid è un lungo coltello ritrovato poco distante dal parcheggio. Una firma che lascia pochi dubbi, che ricorda quello stesso metodo utilizzato la scorsa estate da chi tentò di incendiare il parco del Circeo. Anche in quel caso nulla sembrava lasciato al caso, con gli inneschi collocati nella via di accesso principale dove ogni giorno passano centinaia di turisti.
In terra pontina, dove dominano le cosche – anche grazie ad una amministrazione decisamente distratta, come spiegò bene l’ex prefetto Bruno Frattasi nella sua relazione che chiedeva lo scioglimento del comune di Fondi – i nemici sono chi tutela il territorio dalla speculazione edilizia e chi denuncia la presenza asfissiante dei casalesi, della ‘ndrangheta e di quella che Libera chiama la quinta mafia, le cosche locali composte molto spesso da imprenditori e amministratori pubblici. Il raid notturno – annunciato già  questa estate, quando qualcuno avvelenò con la soda caustica le cisterne dell’acqua del villaggio della legalità  – è solo l’ultimo segnale di allarme. Il più inquietante.


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