Auto: vita, morte e rinascita

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L’auto davvero ecologica non è dunque una macchina meno inquinante ma una grande trasformazione che muta radicalmente l’organizzazione e i prodotti dell’industria, ridisegna la forma delle città  e sposa una mobilità  diversificata basata sui trasporti pubblici. Alexander Langer la chiamava “conversione” della produzione e degli stili di vita e per i centri di ricerca che studiano l’ecoefficienza, dal Wuppertal Institut di Wolfgang Sachs al Rocky Montain Institute di Amory e L.Hunter Lovins, al Natural Capital Institute di Paul Hawken, è la “terza rivoluzione industriale” ed investe tutti i settori produttivi.
Le prime analisi controcorrente, che mettono in discussione la civiltà  dell’auto risalgono agli anni Ottanta (Sachs, “Die Liebe zum Automobil”), poi si intensificano. Danni ambientali e sociali, saturazione del mercato occidentale, una congestione del traffico tale da porre fine a un’idea di libertà  nata con l’auto stessa (Guido Viale, “Vita e morte dell’automobile”). Di fronte alla crisi del settore è compito della politica cambiare la mobilità  e riportare in vita l’urbanistica per riconsegnare ai cittadini strade e piazze, mentre l’industria automobilistica deve reinventarsi. Lo può fare guadagnando, sostengono i Lovins e Paul Hawken, ambientalisti favorevoli al mercato, ma per questo deve cambiare mentalità  e abbandonare l’uso antieconomico delle risorse (“Capitalismo naturale”, ristampa 2011 Edizioni Ambiente). Seguire principi biologici, riusare materiali, eliminare sostanze inquinanti e smetterla di accanirsi contro gli operai, puntando piuttosto sulla produttività  delle risorse, scelta che consente di «ottenere lo stesso lavoro utile da un prodotto o da un processo usando meno materiali e meno energia», liberando grandi quantità  di capitale. «Ottimizzare la qualità  invece di aumentare i prodotti» (Wuppertal Institut).
Se si vuole salvare l’auto bisogna dire la verità , riconoscere che il modello concettuale dell’industria automobilistica è superato, e superate sono le vetture che produce. Veicoli pesanti, dispendiosi, spreconi, rumorosi e inquinanti, pronti oggi a far danno anche nei Paesi emergenti. Innovazione è progettare modelli radicalmente diversi: più leggeri, aerodinamici, ibridi-elettrici. Un prototipo esiste già  dal 1991 ed è l’Iperauto, creato dal Rocky Mountain Institute, non brevettabile, a disposizione della ricerca.
Perché non si cambia? Secondo Hawken l’ostacolo maggiore è culturale. I manager non comprendono i sistemi viventi e i rendimenti che derivano dal risparmio. Bisogna mostrare loro i calcoli e se ancora non capiscono che l’ecoefficienza riduce i costi operativi e fa guadagnare più che aumentando la produzione di auto obsolete o tagliando il lavoro, «cambiare in fretta un management inefficace». Negli ultimi dieci anni Daimler-Benz, Ford, GM, Volkswagen, Toyota, Renault-Nissan hanno cominciato a progettare vetture diverse. Ma non Fiat.


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