Filippine, assassinato un missionario italiano

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E’ un prete cattolico italiano l’ultima vittima delle bande paramilitari che scorrazzano nel far west dell’isola di Mindanao a Sud delle Filippine. Si chiamava Fausto Tentorio, aveva 59 anni, 33 spesi nella valle di Arakan a difendere i diritti delle popolazioni tribali. Pochi i dubbi che a farlo uccidere siano stati i signori delle terre ai quali il sacerdote aveva pestato i piedi con le sue battaglie contro le miniere e le deforestazioni selvagge. In passato aveva ricevuto numerose minacce e nel 2003 era già  scampato a un’esecuzione senza che ciò lo facesse desistere.
L’agguato che lo ha messo a tacere per sempre è avvenuto ieri dopo che padre Tentorio aveva celebrato messa nella parrocchia di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso ad Arakan. Il killer, il volto coperto da un casco, gli ha sparato con una pistola di grosso calibro scappando poi in moto con un complice senza lasciare traccia. Nessuna rivendicazione, nessuna ipotesi ufficiale avanzata dagli inquirenti, anche se gli indigeni Lumad hanno subito puntato il dito contro le multinazionali con cui il missionario era da tempo in lotta.
Padre Tentorio non era solo la guida spirituale di quella comunità  che vive di agricoltura e sfruttamento del sottobosco, sempre più minacciata dalle compagnie minerarie e dai proprietari delle grandi piantagioni che tagliano le foreste. I Lumad si rivolgevano al sacerdote, che parlava la loro lingua e vestiva come loro, per ottenere giustizia presso il governo, ma anche assistenza medica e istruzione per i loro figli.
Proprio ieri mattina il missionario si sarebbe dovuto recare a Kidapawan, sede della diocesi, per partecipare a una riunione con altri esponenti del clero locale nella sua veste di capo dell’Apostolato filippino per i tribali. Avrebbe dovuto parlare dei problemi che assillano la comunità  locale vessata dalle milizie private dei politici corrotti, dai separatisti musulmani in guerra contro il governo cattolico di Manila, nonché dai militanti maoisti e dalle rappresaglie dell’esercito regolare.
«Era amato da tutti, anche se le sue attività  gli avevano attirato parecchi rancori», ha detto il fratello Felice da Santa Maria Hoè, il paesino nella provincia di Lecco che padre Tentorio aveva lasciato poco dopo essere stato ordinato nel 1978 per servire le missioni del Pime nelle Filippine. Qui il sacerdote aveva assorbito gli usi e i costumi delle popolazioni locali meritandosi il nomignolo indigeno di “padre Pops”. Tra i tanti nemici potenti che si era creato c’erano anche le società  minerarie, come l’anglo-svizzera Xstrata, interessate ai giacimenti di oro e altri minerali che avevano privato gli indigeni delle loro terre ancestrali. Un fenomeno non limitato alla sola valle di Arakan. Nelle Filippine operano ben 107 milizie armate private, di cui appena 24 risultano smantellate, e solo quest’anno sono stati uccisi altri cinque attivisti contrari allo sfruttamento delle foreste.
Padre Tentorio – terzo missionario del Pime a essere ucciso nell’isola di Mindanao – aveva rilasciato dichiarazioni polemiche anche contro le autorità  filippine: un anno fa aveva detto chiaramente che il grande arcipelago non è retto dalle amministrazioni pubbliche, ma dagli eserciti privati e da quello regolare. Secondo i suoi confratelli e i suoi familiari, cercava però di sminuire i rischi a cui andava incontro. Un nipote era andato a trovarlo a gennaio e padre Fausto lo aveva persino portato a vedere il luogo dove era sfuggito all’agguato del 2003.


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