Così gli archivi gratis sul Web cambieranno le nostre vite
C’è una applicazione per il telefonino per sapere chi sono le persone che frequentano la Casa Bianca: il più visitato è il presidente Obama, ma al secondo posto non c’è il vicepresidente Joe Biden, come sarebbe lecito attendersi: c’è la coppia Barack & Michelle Obama. Con la stessa applicazione si può scoprire la classifica dei visitatori e se i nomi non vi dicono nulla, con un clic potete finire sulla relativa pagina di Wikipedia e leggerne il profilo. La residenza del presidente americano è una Casa di Vetro e questo aiuta a capire le scelte che vengono fatte e induce comportamenti migliori. C’è poi un sito internet che indica il grado di pericolosità delle principali città americane: utilizza dati pubblici della polizia e dei municipi per rispondere alla domanda “Are you safe?” (Sei al sicuro?). Il risultato è un barometro del rischio in modo che chiunque possa sapere se una certa zona è pericolosa per furti, scippi, stupri o omicidi e regolarsi di conseguenza. Un’altra applicazione calcola il valore degli immobili in base ai dati di criminalità e inquinamento.
Sono solo due esempi di quello che sta per accadere in Italia. Stiamo per essere felicemente travolti da una marea di dati. Non si tratta di dati qualunque, ma dei dati raccolti da strutture pubbliche con i nostri soldi che stanno per diventare liberi; e quindi consultabili da tutti, riutilizzabili per farne applicazioni utili. Magari anche per farci una startup (come Britescope, che offrendo un servizio con i dati della previdenza Usa, fattura 10 milioni l’anno).
Parliamo degli Open Data che finalmente, dopo essere diventati pratica di buona amministrazione negli Usa e nel Regno Unito, aver conquistato la Spagna e i paesi del Nord Europa, arrivano in Italia per cambiarci la vita. I fatti dicono più di ogni altra cosa. E i fatti principali sono tre. Il primo: da ieri sera Firenze ha rilasciato molti set di dati; è il primo comune italiano a farlo, finora solo quello di Udine lo aveva fatto ma limitandosi al bilancio, il salto di Firenze sarà presto imitato da Torino, Matera e Roma. Il secondo fatto: il Piemonte da qualche anno ha un sito di dati istituzionali, da oggi una dozzina di altre regioni sono pronte a imitarlo; parliamo di dati fondamentali a partire da quelli che riguardano la sanità . Il terzo fatto: l’Istat, detentore massimo dei nostri dati statistici, sta per metterli a disposizione di tutti con un accesso “dal computer di casa”.
Gli Open Data sono un presupposto essenziale della trasparenza e dell’efficienza della pubblica amministrazione ma sono anche un potentissimo attivatore della creatività dei singoli. Uno studio della McKinsey sui paesi della Unione Europea ha calcolato che gli Open Data potrebbero abbattere i costi della pubblica amministrazione del 20 per cento creando valore fino a 300 miliardi di euro in dieci anni tra riduzione di inefficienze, maggiori introiti fiscali e maggiore produttività .
Gli esempi virtuosi non mancano. Nel Regno Unito il governo mette a disposizione dati sulle performance delle strutture sanitarie pubbliche o sulle scuole: questo porta i cittadini a fare scelte più informate e a una maggiore efficienza del sistema. In Germania l’Agenzia federale per il lavoro nonostante il taglio del budget ha aumentato il proprio impatto usando in maniera creativa i dati. Sempre in Gran Bretagna la Open Knowledge Foundation ha lanciato un servizio “wheredoesmymoneygo”, (“dove vanno a finire i miei soldi”) con cui ogni cittadino capisce come è composta la spesa pubblica.
La forza dei dati aumenta quando vengono incrociati fra di loro per ottenere nuova conoscenza come ha spiegato l’inventore del web Tim Berners Lee nel 2009 lanciando la campagna “linked-data”. Intanto il movimento è diventato globale come si vedrà giovedì a Varsavia al più grande summit mondiale di Open Data. «Eppure è un momento delicato» ha detto nei giorni scorsi il direttore della Open Knowledge Foundation Jonathan Gray, «i fondi per il sito americano data.gov sono stati tagliati, in giro si sente parlare della tentazione di vendere i dati per farci qualche soldo, e anche chi li pubblica lo fa in formati sbagliati, che ne rendono difficile l’uso».
In Italia la storia è iniziata, lontano da ogni riflettore, molto tempo fa. E se oggi arriva a un traguardo storico lo deve ai pochi che hanno continuato a parlarne anche quando ai più sembrava astrusa. Ora il vento è cambiato: il ministro Renato Brunetta è pronto a lanciare anche il governo italiano su questo tema. Presto avremo un portale di dati e una gara a premi per generare applicazioni socialmente utili. Certo «i dati da soli non bastano, occorre saperli leggere», osserva il presidente dell’Istat Enrico Giovannini che ha appena creato una Scuola Superiore di Statistica. Vedremo i risultati. Intanto i dati tornano a chi li ha pagati. Ai cittadini. Ci faranno molto bene.
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