Ora l’America punta a isolare gli ayatollah

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Dal Pentagono e dal Dipartimento di Stato, a caldo, sono arrivate voci di un ricorso americano al Consiglio di Sicurezza dell’Onu o anche di interventi più duri. Possibile un uso della forza, visto che l’embargo in atto da tempo non pare aver dato grandi risultati? Non pare: l’«escalation» potrebbe essere condotta cercando di trasformare, in sede diplomatica, l’embargo attuale in un boicottaggio più direttamente finalizzato a un cambio di regime in Iran, come già  avvenuto per la Libia e tentato per la Siria.

Una rappresaglia dal cielo per ora non sembra sul tavolo: l’Iran non è l’Iraq di Saddam, Obama non è Bush. E il governo Usa si dice convinto di un coinvolgimento, attraverso la «Qods Force», del governo di Teheran, ma per ora non accusa esplicitamente i suoi massimi leader. Il Segretario di Stato Hillary Clinton, pur affermando che Teheran ha «superato una linea di demarcazione», per ora si è limitata a dire che gli Usa stanno consultando gli alleati e le altre potenze prima di decidere il da farsi.

Obama è impegnato da ieri in una serie di consultazioni con gli altri leader per decidere come reagire a quella che, parlando con l’ambasciatore saudita al-Jubeir, ha definito una «flagrante violazione della legge».

L’obiettivo del presidente sembra quello di rendere ancora più «blindato» l’isolamento dell’Iran e, se possibile, di far emergere spaccature nel regime di Teheran. Il quadro è, comunque, molto grave: una trama dell’Iran per assassinare, con l’aiuto di narcotrafficanti messicani, l’ambasciatore saudita negli Usa con una bomba piazzata in un ristorante che avrebbe potuto uccidere 150 cittadini americani. È la storia raccontata ieri dal ministro della Giustizia Usa Eric Holder davanti a una stampa attonita. Il governo di Teheran nega tutto, parla di montatura bambinesca dell’amministrazione Obama per cercare di coprire le sue difficoltà  interne agitando un’inesistente minaccia esterna.

Ma Holder ha ricostruito in modo circostanziato il caso, per poi parlare di coinvolgimento diretto nella trama di «fazioni del governo iraniano». E, nel dire che gli Usa considerano Teheran direttamente responsabile per quanto accaduto, ha usato toni abbastanza minacciosi: «Non lasceremo che altri Paesi si servano del suolo degli Stati Uniti come loro campo di battaglia». Poco dopo il Tesoro ha annunciato una ulteriore stretta delle sanzioni economiche.

Ragionando di equilibri strategici, la sensazione che si va diffondendo è che l’Iran (o una parte del suo governo) abbia tentato di colpire l’uomo-chiave del rapporto Stati Uniti-Arabia Saudita per dare un’immagine di vulnerabilità  del Paese che, con l’America che si prepara a rendere meno massiccia la sua presenza in Medio Oriente, dovrebbe diventare un gendarme della stabilità  dell’area.

Un disegno del quale, a caldo, ha parlato un personaggio apparentemente «laterale», ma di peso: Mike Rogers, il deputato (repubblicano) che preside il Comitato Intelligence della Camera. Rogers (che riceve informative «top secret») ha fatto capire che il governo iraniano è coinvolto al massimo livello. Va, quindi, incalzato con grande durezza. «Quello che è accaduto — ha detto — è enorme. Siamo ad una svolta. Lo devono capire i nostri amici in Europa, ma soprattutto Mosca e Pechino. Questo è un problema di tutti».


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