Mano pesante con la «zarina»
Sette anni di carcere più tre di interdizione dalle cariche pubbliche, per «abuso di potere a fini criminali, con gravi conseguenze per il paese». E 137 milioni di dollari di risarcimento da pagare per i danni inflitti all’azienda energetica nazionale Naftogaz. Yulija Timoshenko è stata condannata ieri dal tribunale penale di Kiev che l’ha ritenuta colpevole di aver imposto all’Ucraina uno sfavorevole contratto d’acquisto del gas russo, nel processo ormai diventato il casus belli della politica interna ucraina e dei rapporti fra Ucraina e resto del mondo. La sentenza era largamente attesa e dunque non ha sorpreso nessuno ma ha egualmente sollevato una tempesta di reazioni negative: sia in Ucraina, negli ambienti che sostengono l’ex premier, sia all’estero, in particolare nell’Unione europea ma non solo.
La Ue insiste a definire il processo e ora la condanna della Timoshenko «politicamente motivati» e dunque inaccettabili, al punto da provocare un semi-congelamento dei rapporti fra Bruxelles e Kiev; d’altra parte anche a Mosca, dove pure il regime del presidente Yanukovich è considerato amico e alleato, la vicenda non è piaciuta per nulla, perché l’abuso di potere per cui l’ex premier è stata condannata è stato compiuto in accordo con Vladimir Putin e a vantaggio della Russia: dunque la condanna è una base giuridica che consentirà al governo ucraino di azzerare il contratto del gas del 2009 con Mosca. Non a caso il premier Putin ha definito «incomprensibile» la sentenza. Tutte politiche le reazioni occidentali, guidate dalla «delusione» espressa da Washington (anche in Italia non è mancato qualche zelota berlusconiano che ha chiesto il richiamo dell’ambasciatore a Kiev) e basate sulla tesi della Timoshenko secondo cui non c’è nessun fatto penale da giudicare ma solo la volontà di Yanukovich di sbarazzarsi per via giudiziaria della leader di opposizione. Difficile comunque che le critiche europee abbiano conseguenze significative: se è possibile che le procedure di associazione alla Ue vengano temporaneamente congelate, è anche vero che i tempi sarebbero stati comunque lunghissimi e soprattutto che ormai, con la devastante crisi in atto in Europa, l’entrata nella Ue non è più così appetibile e salvifica come poteva apparire. Più probabili, invece, ripercussioni pesanti nelle trattative in corso tra Gazprom e Naftogaz per il rinnovo del contratto del gas: Mosca tornerà a insistere sulla richiesta che Kiev entri nell’unione doganale formata da Russia, Bielorussia e Kazakhstan, in cambio di energia a prezzi bassi.
A Kiev ci sono state proteste di piazza all’annuncio della sentenza, così come c’erano state per tutto il tempo del processo e anche prima, fin da quando Yanukovich ha vinto le elezioni. Ma in termini numerici non è stata gran cosa: lo spazio antistante il tribunale era occupato ieri mattina da tremila anime in tutto, divise in parti uguali tra sostenitori della Timoshenko, oppositori della medesima e poliziotti; c’è stato qualche spintone quando i sostenitori di Yulija hanno tentato di entrare nel tribunale guidati da alcuni parlamentari del partito che fa capo all’ex premier. Improbabile che l’opposizione vada molto al di là di questo, in un paese dove la corruzione è intrinseca alla politica perfino più che in Italia.
Del resto, nonostante le grida all’interno e all’estero contro la «politicità » del processo (e ora della condanna), va anche detto che l’accusa non è stata contestata in modo efficace: la Timoshenko, che si è difesa da sola, si è sempre trincerata dietro un muro di «non è vero», «sono accuse false», «catena di menzogne» e simili. E se forse l’andar contro gli interessi nazionali non si può considerare un reato penale (ma la legge ucraina dice di sì, e non è un caso che molte voci liberiste occidentali chiedano di cambiarla) resta un fatto che quel contratto è stato firmato, che era molto svantaggioso per l’Ucraina e che ha imposto al paese condizioni capestro, assai peggiori di quelle che fino a quel momento l’azienda energetica Naftogaz stava trattando con la russa Gazprom. L’unica cosa che Timoshenko sostiene a suo discarico è che la sua azione è stata concordata con il governo e non imposta da lei con un abuso delle sue prerogative. Ma su questo punto Yulija è stata tradita dalla testimonianza del suo ex alleato «arancione», quel Viktor Yushenko che all’epoca dei fatti era presidente e che effettivamente protestò subito con molta foga contro la decisione di firmare il famigerato contratto. In tribunale, Yushenko ha confermato la tesi dell’accusa.
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