Un incidente. Con complotto E il Cavaliere: alle urne nel 2012

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ROMA — Come una stella che si trasforma in buco nero, Berlusconi si rende conto di aver inghiottito ormai anche se stesso. Perciò dà  per scontate le elezioni anticipate: «Si voterà  l’anno prossimo», pronosticava infatti prima che alla Camera succedesse il patatrac. Non è il voto sul rendiconto dello Stato che decreterà  la crisi di governo, nonostante il groviglio giuridico sul disegno di legge bocciato rischi di diventare un nodo scorsoio per l’esecutivo. Il punto è che il clamoroso tonfo del centrodestra a Montecitorio ha fatto scattare un’ora x a cui tutti giungono impreparati: lealisti e frondisti, maggioranza e opposizione. E ha ragione quindi il coordinatore del Pdl Verdini, quando sostiene che «a buttar giù Berlusconi non saranno né Pisanu né Scajola, ma la legge del caos», suprema ordinatrice di un sistema dove regna il disordine.

Visto che così stanno le cose, ogni teoria sul disarmante fallimento di ieri del governo può essere considerata valida. Si è trattato di un complotto, anzi di un incidente. Eppure una settimana fa l’ex capogruppo dei Responsabili, Sardelli, aveva inviato al Cavaliere una mail con la quale lo avvisava testualmente: «Presidente, attento che la prossima settimana andremo sotto. Ti consiglio di cambiare tattica, e di passare dal catenaccio al possesso palla». E ancora qualche minuto prima del fatidico voto, era squillato il cellulare di Scajola: «Claudio affrettati, anche il capo sta arrivando in Aula». «Il capo» c’era ad assistere alla propria sconfitta, Scajola è arrivato qualche minuto dopo.

Siccome sospetti e liste di proscrizione accompagnano ogni disfatta, nell’elenco di Berlusconi sono finiti anche Bossi e Tremonti, che tuttavia persino Crosetto — suo acerrimo censore nel Pdl — per una volta ha teso a discolpare: «Non ha fatto in tempo a votare, stavolta non c’entra nulla. Non è per questo che se ne dovrebbe andare». Il paradosso è che Tremonti e Scajola, uniti nell’assenza, sono divisi su tutto il resto. Tanto che — nel corso del rendez-vous con Berlusconi a palazzo Grazioli — tra le varie richieste l’ex titolare dello Sviluppo economico avrebbe inserito anche la testa del superministro. Potesse, il Cavaliere lo avrebbe già  accontentato.

Complotto, o peggio ancora incidente di percorso, il voto di Montecitorio è comunque il segno di una legislatura ormai morente, e la fiducia a cui intende ricorrere il Cavaliere appare come un pietoso lenzuolo per coprire la realtà  dei fatti. Ma potrebbe trasformarsi in un rischio, che a quel punto certificherebbe la fine del governo. Verdini finora ha sempre azzeccato i numeri, è stato lui d’altronde ad assicurare a Berlusconi la fiducia il 14 dicembre, e anche stavolta è convinto che il premier supererà  la prova: «Alla Camera prenderemo 322 voti. Facciamo 320, non di meno».

Sarà , ma il Pdl deve fare attenzione al malcontento che è montato nella Lega e che Bossi fatica a gestire. Le avvisaglie di una rivolta si scorgevano ieri tra i deputati veneti, stanchi di appoggiare l’esecutivo. A calmare le acque ci ha pensato Maroni, secondo cui la fiducia accompagnerebbe «un programma aggiornato di fine legislatura», dall’orizzonte dunque limitato: gennaio 2012. Insomma, «si voterà  l’anno prossimo» come lo stesso Berlusconi aveva detto l’altro ieri. Un’opzione che trova favorevoli i leader delle maggiori forze di opposizione, a partire da Bersani e Casini.

Ma per arrivare a gennaio il Cavaliere dovrà  intanto risolvere il rebus della legge bocciata ieri alla Camera e che in qualche modo va approvata. È probabile che l’esecutivo, per superare l’ostacolo prodottosi dal voto di Montecitorio tenterà  di passare attraverso il Senato, alla fine di una disputa che si preannuncia durissima e che sarà  giocata in punta di Costituzione e di precedenti.

Rien ne va plus. Non sembrano esserci più margini politici per altre soluzioni di governo in Parlamento. Non c’è più spazio nemmeno per l’approvazione di provvedimenti come la riforma sulle intercettazioni, che Berlusconi aveva ripreso a brandire come una bandiera. In realtà  sono altre le norme a cui tiene maggiormente: per esempio quelle inserite nel ddl sulla «prescrizione breve», che sono all’esame del Senato, e che in due settimane — se venissero approvate — consentirebbero al premier di evitare la sentenza di primo grado sul «caso Mills».

È una corsa contro il tempo con il tempo che per il governo è già  scaduto. L’orizzonte del 2013 era svanito già  prima del voto di ieri, il Cavaliere se n’era reso conto, e poco importa se le sue recriminazioni ora si concentrano anche su Bossi. Resta da capire quali saranno le ripercussioni in un Pdl che ora sarà  chiamato a scelte difficilissime: lo scontro è iniziato e passerà  dalle primarie. D’altronde nessuno tra i maggiorenti del partito ha più intenzione di attendere che il premier ufficializzi il passo indietro. Il dopo-Berlusconi è praticamente iniziato.


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