Madri iperprotettive la Cassazione: è reato

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ROMA.  Iper protettive, ansiose, soffocanti. Pur di tutelare i figli, pronte a isolarli dal mondo. Madri possessive, asfissianti, che non sanno di rischiare il carcere. «Sommergere di attenzioni e cure un bambino, sino a ritardarne la regolarità  dello sviluppo, può costituire il reato di maltrattamenti». La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a un anno e quattro mesi ad una mamma emiliana troppo apprensiva con il proprio figlio. Un ragazzino trattato come un bebè, che a sei anni aveva ancora difficoltà  a camminare.
Quella che in psicologia viene codificata come la “sindrome della madre malevola” nel solco della giurisprudenza non trova scampo. Da anni i tribunali italiani e la Suprema Corte mettono fortemente in dubbio le capacità  formative ed educative delle madri, dei genitori, delle famiglie iper protettive. Nel 2003 la Cassazione ha negato l’affidamento del figlio tredicenne ad una mamma separata che faceva il cibo a pezzetti nel piatto per paura che mangiando il ragazzo soffocasse. Stavolta la Corte si è spinta sino a configurare un reato.
Con la sentenza depositata ieri, la sesta sezione penale ha punito l’atteggiamento della madre e del nonno che hanno impedito a un ragazzino rapporti con coetanei sino alla prima elementare. Non solo, in seguito i due hanno imposto comportamenti «riservati all’età  infantile» sino alla pre-adolescenza. Il bambino viveva prigioniero dell’amore materno, chiuso in casa. La madre separata e il nonno temevano che giocando con i compagni o seguendo una banale lezione di ginnastica, il bambino potesse farsi male. Per anni sono rimasti sordi ai richiami di insegnanti ed esperti che stigmatizzavano tanta «patologica esasperazione».
Il caso è scoppiato su denuncia del papà , insospettito dal rifiuto del figlio ad incontrarlo. Il bambino – scrivono i supremi giudici – era stato “educato” persino a respingere i contatti con la figura paterna.
La condanna per la signora è arrivata nel 2007 dal tribunale di Ferrara, con conferma dalla Corte d’appello di Bologna. Senza successo Elisa G. e il nonno materno hanno protestato in Cassazione: tutte le cure con le quali circondavano il piccolo non potevano essere equiparate a chi usa vera violenza sui minori o li manda per strada a chiedere l’elemosina. «L’iper protettività , lungi dal costituire maltrattamenti, nasceva da intenzioni positive e lodevoli». Tra l’altro il bambino non si era mai sentito «una vittima».
Ma la loro buona fede per la Corte è solo «falsa coscienza». Poiché «la persistenza delle metodiche di iper accudienza e isolamento, segnala l’intenzionalità , che – oltre ogni ragionevole dubbio – connota il reato di maltrattamenti».


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