Veltroni sfida Bersani: ora governo d’emergenza
ROMA — Non farà a Bersani quel che è stato fatto a lui. Non chiuderà il segretario nell’angolo fino a costringerlo alle dimissioni. Non si metterà alla testa di una corrente che logori la leadership: «Non mi piacciono, non ne sarei capace». Ma Walter Veltroni è in campo e, chiudendo l’assemblea di MoDem, detta la linea a Bersani. No al voto anticipato, sì a un governo di transizione che salvi il Paese da una crisi di sistema: «Se parliamo di primarie o di elezioni indeboliamo questa possibilità . Dobbiamo concentrare gli sforzi su un governo di emergenza».
La sfida è lanciata, il finale è tutto da scrivere. A sera Massimo D’Alema parlerà di «sostanziale unità », ma nel Pd si respira un’aria densa di sospetti e veleni incrociati. Al raduno veltroniano Dario Franceschini arriva da pontiere e apre a una «coalizione larga, anche con il terzo polo». Ma l’ospite più applaudito è Enrico Letta, accolto come uno di casa per l’assoluta sintonia con le posizioni della minoranza. Il vicesegretario sposa il governo di larghe intese e ammonisce che la caduta di Berlusconi rischia di far crollare anche il Pd, «se non resta unito e se non interpreta il cambiamento».
Tocca a Veltroni, e l’ex segretario ritrova gli accenti programmatici del Lingotto, torna a parlare di «vocazione maggioritaria» e, pur declinando le sue idee all’insegna di un ecumenico «noi», mette a dura prova la tenuta del leader. Promette lealtà : «Mai farò qualcosa che possa configurarsi come quello che io ho subito alla guida del Pd». Però contesta il tempismo del leader e smonta uno dei pilastri simbolici del partito «pesante» di Bersani: «Noi non siamo una ditta, ma una comunità di uomini e donne…». Ricorda che nelle vene dei democratici non scorre solo sangue socialista, invoca una «leadership collettiva», rivendica di aver detto «cose scomode» quanto lungimiranti. E si prende il merito della raccolta referendaria, un milione e mezzo di firme per cambiare la legge elettorale: «Abbiamo fatto bene a combattere e a vincere».
Il problema è cosa fare adesso. Ancora ieri Bersani ha lasciato aperta sia la strada di un nuovo governo che quella delle elezioni «perché al 2013 non ci si arriva». Veltroni invece si candida a guidare i tifosi della svolta parlamentare: «Se diciamo elezioni il Pdl si blinda attorno a Berlusconi. Non vogliamo un governo del ribaltone, ma una fase di decantazione». E anche sulle alleanze sferza Bersani, che a Vasto ha benedetto il «Nuovo Ulivo» con Vendola e Di Pietro. Per Marco Follini è il «modo più sicuro per restituire a Berlusconi gli elettori che se ne stanno andando» e Veltroni contesta la scelta di mettere le alleanze prima dei programmi. Tanto più che l’Ulivo di Vasto «non avrebbe la maggioranza al Senato». È un attacco a tutto campo. Paolo Gentiloni chiede di «cambiare rotta», di smetterla di «oscillare» tra ricette riformiste e «sbandate» passatiste. Beppe Fioroni vuole «cambiare il profilo del partito», però ritiene «folle» il sospetto che la minoranza inciuci per mandare a casa Bersani. Eppure la fibrillazione è forte e Oriano Giovannelli, coordinatore dell’area bersaniana, denuncia «il tentativo di logorare il segretario». Un sospetto che lo stesso Veltroni s’incarica di respingere: «Come non è giusto dire che Bersani e i suoi parlano di elezioni con l’obiettivo di blindare il leader, così è ingiusto dire che noi pensiamo a un governo di transizione per cambiare il leader».
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