Al via la scuola 2.0

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NELLA “scuola del futuro” non ci sono banchi rotti, muri sporchi ed edifici fatiscenti. Per la verità  non ci sono proprio i banchi, i muri e gli edifici. E nemmeno le cattedre. Ci sono soltanto gli unici due elementi assolutamente indispensabili perché si possa parlare di un corso di studi: i docenti, ma solo quelli bravi davvero. E soprattutto gli studenti, tantissimi studenti. Mai visti tanti studenti in una sola classe: quelli che stamattina aprono l’attesissimo corso di Introduzione all’Intelligenza Artificiale dell’università  di Stanford, sono più di 140 mila e vengono da tutte le parti del mondo. Anzi, non vengono affatto perché ciascuno di loro, da oggi fino al 12 dicembre quando si terrà  l’esame finale, per seguire le lezioni se ne starà  a casa propria, o magari in un parco con un laptop sulle ginocchia, oppure starà  facendo altro e si collegherà  in rete quando gli sarà  più comodo rivedere il professore su YouTube. Ecco, la rete Internet sì, quella deve esserci nella scuola del futuro: e a banda larga se possibile, sennò i video vanno a singhiozzo e il sapere va a farsi benedire.
Benvenuti alla “University of Everywhere”, l’università  di ogni posto: oggi parte l’esperimento forse più avanzato che ha mai vissuto l’istruzione dai tempi di Socrate. L’obiettivo è insegnare a distanza, simultaneamente e gratis a tutti quelli che lo desiderano. Se funziona, nulla sarà  più come prima. Se funziona presto si avvererà  lo scenario immaginato qualche giorno fa dall’ex direttore del New York Times Bill Keller sul suo blog: «I corsi saranno online e saranno votati dagli allievi come i libri su Amazon; l’insegnamento sarà  organizzato con aste modello eBay; gli studenti invece del titolo di studio conquisteranno dei livelli di abilità  come nei videogame. E presumibilmente, la birra del venerdì sera la prenderanno al Genius Bar della Apple».
Fermiamoci un attimo. Perché qui nessuno sta scherzando. Mentre gli studenti scendono in piazza per il diritto allo studio, una autentica rivoluzione didattica è in corso davvero, ed è più forte dell’ignoranza di certi ministri o dalla miopia di tanti politici che considerano l’istruzione un costo da tagliare e basta. Dopo aver stravolto i pilastri dell’industria culturale – dalla musica al cinema, dai libri ai giornali – , Internet sta ora attaccando il luogo dove batte il cuore del sapere da più di duemila anni: la scuola. L’obiettivo finale è creare dei campus virtuali dove il sapere è distribuito in rete, i libri di testo si leggono gratuitamente sui tablet e le lezioni sono ribaltate rispetto a quanto siamo abituati a fare da due secoli: basta con discorsi fatti ex cathedra e compiti a casa. Meglio invece guardarsi a casa il video del prof tante volte quanto necessario a ciascuno di noi (visto che siamo tutti diversi, come ha spiegato il guru dell’istruzione Ken Robinson), e poi in classe si discute e si fanno gli esercizi.
La scintilla della rivoluzione si è accesa per caso. Se nel 2004 la piccola Nadia non avesse avuto problemi in matematica, il cugino Salman Khan non avrebbe iniziato a farle ripetizioni: solo che, visto che si trovavano in due città  diverse degli Stati Uniti, Salman le sue lezioni le faceva via Yahoo! Messenger, un servizio di chat, mostrando le formule delle operazioni su un taccuino virtuale, Microsoft Paint. Dopo un po’ Nadia gli disse che preferiva un video, «perché posso rivedermelo se non ho capito qualcosa». E così il 16 novembre 2006 il cugino aprì un profilo su YouTube dove caricare le spiegazioni. Ora Salman non era un cugino qualsiasi: nato a New Orleans ma originario del Bangladesh, ha nel curriculum tre lauree al MIT di Boston e un master ad Harvard. Insomma è un mezzo genio. Anzi, leviamo il “mezzo”. E così le sue clip per Nadia in rete sono diventate un cult: grazie a banali moduli scritti in Java, uno dei più noti linguaggi di programmazione, alla fine di ogni video di Khan ci sono delle batterie di domande, e solo se rispondi esattamente a tutte, sali ad un livello superiore e hai altre domande. Funziona come un videogame, praticamente, ma intanto Nadia imparava. E non solo lei.
In rete questi video furono subito un successo, al punto che Salman Khan dopo tre anni decise che quella sarebbe stata la sua vita: lasciò il posto di gestore di fondi finanziari ad alto rischio, ottenne un piccolo finanziamento da un venture capital di Silicon Valley e da quel giorno il suo canale lo ribattezzò “Kahn Academy”. Ma la vera svolta doveva ancora arrivare: la scorsa estate dal palco del Festival delle Idee di Aspen, il fondatore di Microsoft Bill Gates in persona lodò il sito rivelando che i suoi figli lo usavano abitualmente. Per farla breve, Salman si è trovato con un milione e mezzo di dollari dalla Bill & Melinda Gates Foundation, seguiti da altri due milioni da Google (Google in questa storia è importante, poi vedremo perché).
Oggi la Kahn Academy è un colosso dell’istruzione primaria con 2600 video lezioni di storia, matematica, finanza e fisica; sulla homepage del sito ha un contatore che aggiorna quante lezioni ha già  impartito (siamo vicini alla stratosferica cifra di 80 milioni). E si è data la missione di insegnarci “quello che vogliamo, quando lo vogliamo e al nostro ritmo di apprendimento”. Piccola postilla: è tutto gratis.
Ma le sorprese non erano finite. Sei mesi fa a Long Beach si riuniscono un centinaio di cervelloni di tutto il mondo per l’annuale conferenza del TED. Bill Gates cura la sessione dedicata all’istruzione e sul palco porta Salman Khan naturalmente. In sala c’è un giovane tedesco sul quale da adesso punteremo i riflettori: si chiama Sebastian Thrun, ha 44 anni, gli occhi blu, è professore di informatica a Stanford dove guida il Laboratorio per l’Intelligenza Artificiale. Thrun è al TED perché ha realizzato per Google il prototipo della auto che si guida da sola. Quando tocca a lui parlare spiega che la vettura ha già  alle spalle 140 mila chilometri percorsi senza pilota per le strade della California e in sala molti hanno un brivido: «Aspetto con ansia il momento in cui le generazioni dopo di noi guarderanno indietro e diranno quanto fosse ridicolo il fatto che gli umani guidavano le auto». Ma poi Thrun ascolta il discorso di Salman Khan e decide di mettersi alle spalle le auto per dimostrare quanto sia ridicolo il fatto che l’istruzione di qualità , che è il presupposto indispensabile per immaginare un mondo migliore, sia così costosa e riservata a così poche persone.
Nasce così il corso di Stanford che parte oggi. Il professor Thrun non sarà  solo. Al suo fianco c’è Peter Norvig, 55 anni, capelli bianchissimi, un set di camicie hawaiane indossate con disinvoltura, per molto tempo responsabile dei robot della Nasa e poi capo del settore ricerca di Google. Ecco, Google ha un ruolo centrale perché saranno alcuni strumenti realizzati in collaborazione con il colosso informatico di Mountain View a rendere possibile la gestione di 140 mila studenti contemporaneamente: le loro domande e i compiti che ogni settimana avranno da fare per ottenere fra due mesi, se passeranno l’esame finale, un certificato di frequenza con un punteggio di valutazione. Non varrà  come una laurea, quel pezzo di carta, ma le lezioni saranno le stesse di chi paga 50 mila dollari l’anno. C’è naturalmente un piccolo “problemino” che Thrun e Norvig non hanno ancora risolto: ovvero come impedire a qualcuno di fare i compiti al posto di un altro e quindi valutazione finali sballate. «Ma se supereremo questo ostacolo, l’istruzione cambierà  per sempre».
Vedremo. Intanto stamattina suona la prima campanella. Naturalmente è il cinguettio di Twitter: «La prima lezione è stata caricata. Guardatela e poi ne riparliamo».


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