Gli studenti tornano in piazza no ai tagli e assedio alle banche una protesta in stile indignados
ROMA – Sono tornati in piazza, e sono pure più giovani di un anno fa. Gli studenti italiani che infiammarono l’autunno anti-Gelmini la scorsa stagione, e quindi provarono una lunga opposizione in primavera, sono di nuovo per strada. La nuova manifestazione l’avevano organizzata durante un campeggio estivo in Puglia, ieri mattina è venuta bene. In novanta città italiane hanno sfilato 150 mila ragazzi (centomila in meno per il ministero degli Interni) dimostrando che la Generazione P. resta in campo perché in campo resta la Precarietà e che sa reclutare alla lotta nuove generazioni. Sul lungotevere di Roma si sono visti ragazzini di 14 anni.
In questi dodici mesi le proteste degli studenti italiani sono via via diventate “indignazioni” nel resto del mondo: a Londra, a Madrid, a Santiago del Cile, a Tel Aviv e ora sulle due coste americane sotto il santuario di Wall Street e la collina di Hollywood. Dodici mesi dopo la prima manifestazione del 2010, i nostri “indignados” si schierano con le maschere di “V per Vittoria”, le bandiere nere dell’anarchia, gli spigoli punk in testa e i brufoli in viso. “I conti ora dovete farli con noi”. Con qualche screzio, a Roma gli universitari lasciano la testa del corteo agli studenti medi e autorganizzati, a Milano si spaccano in due spezzoni, a Napoli in tre.
All’alba nella capitale gli universitari avevano portato le sveglie sotto Palazzo Chigi: suonavano per il governo, “è l’ora di andarsene”. E a metà mattina inizia “guardie e ladri”, con i ragazzi che si lanciano di corsa in percorsi non previsti bloccando il traffico in tutto il quadrante Sud a ridosso del centro storico. Accarezzano senza fermarsi il ministero dell’Istruzione (“Gelmini dimettiti”, quasi un obbligo) e occupano i binari prima del tram 8 e poi della Stazione Ostiense. Saranno decine i denunciati. Un’auto blu viene presa a calci. A Milano studenti e antagonisti sverniciano bancomat, lanciano fumogeni contro gli istituti di credito (“Save schools, not banks”), hanno un contatto con la polizia sotto il Pirellone. Infine, tentano l’assalto alla sede di Moody’s, gli odiati maestri della finanza che con le loro pagelle «costruiscono crisi». L’attacco è fermato sull’androne. Uova piene di vernice vengono sparate contro la polizia e i palazzi del potere un po’ ovunque (a Pisa uno spezzone del corteo protesta per questo). A Torino bruciano sagome di politici e imprenditori, a Genova contestano il lusso del Salone nautico. A Napoli soffiano bolle di sapone verso la polizia, a Bologna a fine corteo si accampano con le bombole a gas sotto il portico di Palazzo Re Enzo. Si manifesta anche a Cosenza (contro Equitalia), nell’Imperia di Claudio Scajola e in un paese dell’Irpinia, Grottaminarda.
C’è nervosismo e improvvisazione, c’è molto stadio nelle magliette e nelle offese di questi cortei che superano l’Onda del 2008 e seguono le tracce dell’ultima Generazione P: alla terza stagione la crisi è entrata nelle loro case. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, aveva chiesto il rispetto millimetrico dei percorsi. Legge le cifre della questura e attacca: «Mi sembra assurdo che una manifestazione di 2.500 ragazzi, sia pure infiltrati da gruppi di estremisti, possa avere un impatto così pesante sulla nostra città ». Il presidente della commissione sicurezza del Comune, Fabrizio Santori: «Il 15 ottobre Roma rischia di essere messa a ferro e fuoco». Allude al “Rise up” che sarà celebrato in tutta Europa: porterà sulla capitale movimenti e centri sociali d’Italia. Già oggi, però, gli studenti replicano affiancando la Cgil nella manifestazione per la conoscenza e il pubblico impiego. Mercoledì insceneranno azioni contro la sede della Banca d’Italia. Un altro sindaco, Luigi De Magistris, a Napoli sceglie di ricevere gli studenti: «La riforma Gelmini e la manovra economica sono espressioni di una concezione classista dell’istruzione e dell’economia. Non restate in casa a guardare la tv, chiedeteci spazio, piazze, strade».
Questo non è il loro debito, diceva lo striscione d’apertura a Roma: “Not our debt, no solution: global revolution”. Direttamente mutuato dai manifestanti di Wall Street. A New York il regista Michael Moore ha saputo leggere le ragioni di una rivolta tutta occidentale: «Che devono fare questi ragazzi?, hanno capito che le banche terranno la loro generazione nel garage». A Roma, dove un anno fa è iniziato tutto, i ragazzi stringono gli scudi di polistirolo e urlano: «Ora non ci fermate più».
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