Poca liquidità , è l’incubo dell’effetto domino
MILANO – «Qui non si arriva a Natale. Forse neanche a Ognissanti». A Londra, Parigi, Francoforte, Milano, gli investitori in banche europee paiono rassegnati. Vedono tutti i rischi rotolare sul tavolo: rischio liquidità perché gli istituti non si fidano a prestarsi denaro tra loro, rischio sovrano perché sono ripieni di bond pubblici in virtuale rapido deprezzamento, rischio di dover ricapitalizzare in massa, e subire un calo strutturale della redditività bancaria. Non vedono – finora – il briciolo di una soluzione, e tanto meno una linea d’azione comune dei governanti comunitari.
Chiedersi se i debiti sovrani dei cadetti d’Europa trascineranno a fondo le banche continentali, o piuttosto saranno loro a rovinare l’eurozona, sembra un quesito ozioso, da storici, quando la quotidianità porta notizie come quelle su Dexia e Deutsche Bank di ieri. Il malessere corre sul filo della Borsa, dove anche ieri le banche europee hanno zavorrato i listini, e negli ultimi tre mesi hanno circa dimezzato la loro capitalizzazione. Ma non è, neanche questo, il problema principale. Una banca non salta mai per le perdite, siano di Borsa o nel conto economico. Una banca salta quasi sempre – da Lehman e Northern Rock in giù – perché non riesce a procurarsi i fondi che servono per finanziare i suoi mestieri.
Da metà luglio sono sorte le prime avvisaglie di difficoltà nel finanziamento sull’interbancario, un mercato continentale dove gli istituti prendono e prestano miliardi ogni giorno. Dapprima si è raffreddato il flusso dei fondi a medio lungo termine, poi anche il breve, poi ancora è congelato l’interbancario in dollari, perché gli investitori americani stavano abbandonando il “rischio Europa”. Queste dinamiche in due mesi hanno triplicato (da 30 a 90 punti base) il premio al rischio interbancario, misurato dallo scarto tra il tasso Euribor e l’overnight. Quindi più cara la raccolta, e più rara, per le banche. Con l’effetto che tutti gli istituti si dovranno rivalere su clienti e imprese.
Tra chi si deve rivalere con maggior forza ci sono le banche italiane. Oppresse non solo dai problemi dell’interbancario, ma da un rischio Italia che nel contempo è salito da 200 a 386 punti base rispetto al tasso di riferimento (sul bund tedesco). Quasi il doppio, ed è il numero chiave per la raccolta su base nazionale. Pertanto gli istituti tricolori – lo ha confermato Standard & Poor’s, lo dice ogni operatore – nel finanziarsi pagano un costo aggiuntivo per le prodezze della politica italiana. Sarà un grosso problema nel futuro prossimo, perché con questi spread ogni attività bancaria in Italia è prospetticamente in perdita. Ne seguiranno rincari di tutti i prestiti – attualmente si stima una media sistema di 80 punti base, quindi lo 0,8% su ogni tasso – e un raffreddamento del credito, specie del molto che non si rivelerà profittevole.
Sarebbe molto, ma non è tutto. Le banche europee sono le prime compratrici del debito sovrano europeo. I governi, con norme di favore e con la moral suasion, da anni le stimolano ad assiepare le aste di titoli pubblici. Ora i test di resistenza di luglio (che si limitano a 91 istituti, il 65% degli asset europei) hanno censito 465 miliardi di euro di bond emessi dai paesi cosiddetti Piigs. Italia, Spagna e Grecia sono i maggiori emittenti titoli, e de relato le banche dei loro Paesi sono le più esposte. I bond greci finora sono gli unici svalutati dalle banche (il 21% del valore nominale), presto si teme un loro dimezzamento. E un deprezzamento del 10-15% del valore di Btp e Bonos porterebbe a perdite plurimiliardarie. Preludio a ricapitalizzazioni di entità simile. Mediobanca e Credit Suisse le hanno stimate in 150 miliardi, Nomura s’è spinta a 400 miliardi.
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