Spunta un piano salva-banche governi pronti a ricapitalizzarle

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LUSSEMBURGO – Hanno approvato il pacchetto di governance e la riforma del Patto di stabilità . Ma la principale preoccupazione dei 27 ministri finanziari riuniti ieri a Lussemburgo era tutta concentrata sulla incombente crisi del settore bancario. L’Ecofin ha febbrilmente cercato di passare in rassegna gli strumenti a disposizione per fermare il contagio nel settore finanziario. Per concludere che non sono molti. Come avviene ormai regolarmente, i mercati hanno giocato di anticipo, vendendo a mani piene e cogliendo in contropiede i politici.
Sono settimane che la direttrice dell’Fmi, Christine Lagarde, mette in guardia sulla necessità  di ricapitalizzare le banche europee per prevenire la possibile reazione a catena innescata dall’eventuale default greco. I suoi appelli sono rimasti inascoltati nonostante, come ex ministro delle finanze francese, la signora dovrebbe conoscere bene la vulnerabilità  delle sue banche. Allarmi analoghi, dal Tesoro Usa, hanno suscitato reazioni piccate dei ministri europei. Ora che la frittata è fatta, i ministri si accorgono che l’unico strumento di cui in teoria possono disporre, cioè il nuovo fondo Efsf salva stati potenziato a luglio, non è ancora operativo perché mancano le ratifiche dei parlamenti nazionali olandese e slovacco che difficilmente decideranno prima di fine ottobre.
Comunque le soluzioni per spegnere l’incendio sul nascere non sono molte, e tutte si accompagnano a incognite e controindicazioni difficili da valutare. I tecnici al seguito dei ministri hanno identificato sostanzialmente tre possibili linee di azione. La prima, in mancanza di uno strumento comune già  disponibile e vista l’urgenza, è un intervento coordinato da parte dei governi nazionali per ricapitalizzare le banche più fragili. Si tratterebbe di individuare un livello di patrimonio primario Core Tier 1 sotto il quale gli istituti verrebbero rimpinguati con iniezioni di denaro pubblico sotto forma di “preferred shares”. La controindicazione a questo intervento è che avrebbe l’effetto di appesantire ulteriormente i bilanci pubblici – come già  avvenuto nella crisi di due anni fa – in un momento in cui la priorità  di tutti i governi è ridurre il debito pubblico. Per i Paesi più fragili, come Grecia e Portogallo, il conto delle ricapitalizzazioni potrebbe pagarlo l’Efsf, a statuto approvato. Ma anche su questo punto già  emergono resistenze e la ministra austriaca è contraria a trasformare l’Efsf in una «bad bank» che raccolga i titoli spazzatura per l’Europa.
La seconda misura, allo studio da tempo, è fare ricorso all’unico strumento comune oggi operativo: la Bce. Per impedire una crisi di liquidità  del sistema bancario – in cui nessuno fa più credito a nessuno – l’Eurotower potrebbe allungare le aste a rubinetto che ora concede alle banche a fronte di garanzie collaterali. Attualmente questi prestiti sono al massimo per sei mesi, ma si parla di allungarli a un anno, e c’è chi ipotizza un’estensione fino a due. In questo caso le resistenze, in seno allo stesso Consiglio direttivo Bce, sono di chi vuole evitare un’eccessiva esposizione di Francoforte.
La terza ipotesi, di cui i ministri hanno discusso a lungo con Klaus Regling, direttore dell’Efsf, è di dotare il fondo di un “leverage” finanziario che gli consenta di allargare la sua capacità  di intervento, oggi limitata a 440 miliardi di euro. Una possibilità  è che il Fondo agisca come vera e propria banca, facendosi prestare denaro dalla Bce e usandolo per rifinanziare gli istituti in affanno. Ma questa misura s’è finora scontrata con il netto rifiuto del presidente Jean-Claude Trichet. L’opzione alternativa è che il Fondo sia utilizzato a garanzia di una quota – si parla del 20% – delle emissioni sovrane di Paesi sotto attacco finanziario ma con fondamentali sostanzialmente sani e percorsi di recupero in atto (potrebbe essere il caso di Italia e Spagna). In tal modo, agendo da «assicuratore» e in cambio del pagamento di un premio, l’Efsf potrebbe estendere notevolmente il braccio d’azione aiutando a fermare la reazione a catena che sta facendo impennare gli spread dei Paesi più vulnerabili. Anche quest’ultima ipotesi tecnica, per ora, è in attesa della ratifica della riforma del Fondo da parte dei politici olandesi e slovacchi.


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