“Sono morte per 4 euro all’ora le hanno trovate abbracciate”

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Barletta – Sono messe in fila sui tavolacci dell’obitorio, una accanto all’altra come fossero ancora sedute al tavolo di lavoro, Giovanna, Matilde, Tina, Antonella e poco più in là  Maria, le donne di Barletta, ammazzate per tre euro e 95 all’ora.
Per poter comprendere fino in fondo la loro storia bisogna aver visto almeno una volta una “confezione” di Barletta, segreto del boom economico degli anni ‘80 di questa città . Alla “confezione” ci lavorano soltanto donne. A gestirla nella maggior parte dei casi è una donna. Spesso la moglie del proprietario o di un dipendente di un maglificio. Al maglificio producono e alla “confezione” confezionano: tagliano cioè i fili sporgenti, applicano l’etichetta, piegano la maglia, la felpa o quello che è. Imbustano e poi accatastano. La loro è una ritualità  da catena di montaggio, gesti sempre uguali e il più possibile precisi. È un lavoro da cinesi ma questi scantinati non hanno nulla di cinese: si respira profumo e pettegolezzo. Giovanna e Tina portavano i fiori giù in via Mura Spirito Santo, Matilde era quella invece della cucina, Antonella quella dei sogni, Maria raccontano fosse un po’ la mascotte e un po’ l’invidia. Aveva 15 anni, «potessimo avere noi ancora 15 anni, sai quante cose, sai quante».
Ecco, in una “confezione” si impacchettano maglie e si accatastano vite. Si ascolta Raf e Tiziano Ferro ed è un po’ come andare al cinema: chiudi una felpa e immagina il filmino del matrimonio, la più bella pellicola mai andata in onda, taglia un’etichetta e ricorda tua suocera, dannata la suocera. Richiudi un filo e racconta, o magari inventa, che il tuo corredo è meglio di quello di Mastrota. Guarda Maria e sorridi, perché speri tanto che anche tuo figlio o magari tua figlia verrà  bella e intelligente così. Ecco, era tutto questo via Mura Spirito Santo, un’azienda a conduzione familiare, nel senso che conducevano le famiglie, che dopo pranzo erano tante ma prima di pranzo era soltanto una. Quella della “confezione”. Non erano schiave le donne di Barletta. Non ci sono vittime o aguzzini. Non ci sono cattivi in questi scantinati, né quello della fabbrica né questo dell’obitorio.
I cattivi in questa storia ci sono, ma sono altri. «Lo sai chi?». La mamma di Giovanna è la più determinata. Piccola, bionda, non piange ed è incazzata. «La colpa non è di quei poveri signori che le davano da lavorare e che ora piangono qui insieme con noi. La colpa è di chi doveva controllare e non l’ha fatto, di chi viene pagato per fare esistere e rispettare la legge e se n’è fregato. Noi siamo povera gente e ora ci hanno rubato anche il sorriso, che forse era l’unica ricchezza che avevamo». Il sorriso. Sorridono le donne di Barletta nella foto che Matilde, 31 anni, aveva postato su Facebook. «Quel maglificio le piaceva, un po’ era anche casa sua. E del resto che cosa avrebbe potuto fare? Rinunciare in questi tempi a un lavoro non si può» racconta la mamma, una signora anziana che rimane ferma sul muretto fuori l’obitorio, accarezzando la mano di una volontaria della Croce Rossa. La mamma di Tina è alla ricerca di una consolazione. «Un vigile del fuoco mi ha detto che Tina abbracciava Maria. La proteggeva. E’ stato il suo ultimo gesto». La mamma di Maria è sempre più piccola in un angolo dell’obitorio. Piccole come sanno diventare solo le mamme addolorate. Il suo è un dolore se possibile ancora più grande: piange sua figlia, piange quattro sue dipendenti, quattro sue amiche. Fa segno con cadenza regolare di no, dice che no, così è troppo, così non è sopportabile,
Poco più in là  c’è Antonella. Aveva 36 anni appena e presto sarebbe diventata nonna. Sua figlia è incinta e aspetta una bambina, chiaramente. Giovanna invece aveva 30 anni e due bambini. Oggi era giorno di matrimonio, si sposa un parente e sul letto a casa c’è ancora il vestito della festa. Ed è con quello che ora un’amica la vuole seppellire. Mamme e figlie. I vestiti. La musica. «Domani, domani quando andranno via dovranno essere belle. Bellissime. Belle e fiere. Insomma, dovranno essere donne».


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