Libertà  di licenziare la Fiat corre da sola

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«Cara Emma, ti confermo che, come preannunciato nella lettera del 30 giugno, Fiat e Fiat industrial hanno deciso di uscire da Confindustria con effetto dall’1 gennaio 2012». L’ad Fiat, Sergio Marchionne, ieri ha scritto di nuovo alla presidente degli industriali Emma Marcegaglia, e stavolta per annunciarle una scelta senza ritorno. Fiat fuori dal sistema Confindustria, come più volte minacciato, a causa dell’accordo interconfederale del 21 settembre, ovvero la ratifica dell’intesa del 28 giugno tra imprese e sindacati.

Marchionne definisce sia l’accordo del 28 giugno, che il successivo articolo 8 della manovra, «due importanti decisioni»: «L’articolo 8 prevede importanti strumenti di flessibilità  oltre all’estensione della validità  dell’accordo a intese raggiunte prima del 28 giugno». Ancora: «Fiat fin dal primo momento ha dichiarato pieno apprezzamento per i due provvedimenti».
Insomma, fino a questo punto tutto ok. Ma è stato il passo successivo a non piacere alla Fiat: «Con la firma dell’accordo interconfederale del 21 settembre è iniziato un acceso dibattito che – scrive l’ad Fiat – con prese di posizione contraddittorie e addirittura con dichiarazioni di volontà  di evitare l’applicazione degli accordi nella prassi quotidiana, ha fortemente ridimensionato le aspettative sull’efficacia dell’articolo 8».
In effetti, sia la Cisl che la Uil, come ovviamente la Cgil, avevano affermato di essere pronte a non applicare l’articolo 8 – almeno sul fronte degli accordi aziendali sui licenziamenti – una volontà  ribadita con la ratifica del 21 settembre e l’aggiunta di alcune righe all’intesa di giugno, in cui si affermava l’«autonomia delle parti nelle relazioni industriali». La segretaria della Cgil Susanna Camusso aveva letto queste righe aggiunte come la volontà  di tutti i firmatari di «respingere l’invasione di campo del governo» e quindi lo stesso articolo 8, ma solo pochi giorni fa invece Emma Marcegaglia aveva spiegato che a suo parere il 28 giugno (e anche il 21 settembre) «non contrastano affatto con l’articolo 8, ma anzi lo lubrificano e rendono applicabile».
Dichiarazioni contrastanti e al limite del politichese che hanno fatto «rabbrividire» l’uomo pratico e di azienda (o almeno ama mostrarsi) Marchionne. L’«americano» che guarda solo allo sviluppo delle sue imprese, e che continua a strigliare il nostro Paese: «Fiat, che è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 paesi, non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato».
Noi italiani, insomma, visti dagli Usa e dal Canada (ormai centro di gravità  permanente di Marchionne, che è anche presidente e ceo di Chrysler) saremmo primitivi. Ma questo non vuol dire certo che insieme a Confindustria, si abbandona anche l’Italia: anzi, con un’abilissima operazione mediatica, la Fiat ha ieri annunciato anche che costruirà  i suv Jeep a Mirafiori a partire dal 2013, così come i nuovi motori della Alfa Romeo andranno alla Fma di Pratola Serra.
E però, patti chiari e amicizia lunga: «Da parte nostra – scrive Marchionne – utilizzeremo la libertà  di azione applicando in modo rigoroso le nuove disposizioni legislative». Cioè l’articolo 8, senza sconti nè variazioni interpretative concesse dopo il 21 settembre. La decisione – tiene a sottolineare l’ad Fiat – «non è politica». «Per noi la Confindustria politica ha interesse zero: siamo di una semplicità  e innocenza eccezionali», precisa poi incontrando i giornalisti: molti infatti hanno ventilato che l’uscita dall’associazione industriali sia stata un assist al governo – per gratitudine sulla questione articolo 8 – dopo gli attacchi che l’esecutivo ha subito negli ultimi giorni proprio da Emma Marcegaglia. Dall’altro lato, Marchionne non ha criticato la lettera di Della Valle: «Esprime la frustrazione di tutti».
L’addio è senza ritorno – «non facciamo entrate e uscite», ha detto Marchionne – e secondo Confindustria costerà  5 milioni di euro di quota annua, mentre da fonti Fiat non confermate trapela la cifra di 28 milioni.
In serata Emma Marcegaglia ha diffuso la sua risposta: «Prendiamo atto della decisione Fiat pur non condividendone le ragioni – scrive – Confindustria non ha mai messo in dubbio la validità  e l’applicabilità  dell’articolo 8 e anzi ne ha sempre ribadito la coerenza rispetto all’accordo del 28 giugno. Secondo la generalità  degli esperti di diritto del lavoro, in nessun modo la ratifica dell’accordo interconfederale avvenuta il 21 settembre ne ha depotenziato gli effetti o ha posto dei limiti aggiuntivi all’applicabilità  delle norme di legge». Più tardi, Marcegaglia rincara: «Le motivazioni addotte dalla Fiat non stanno in piedi. Io ho tre pareri dei più importanti giuslavoristi italiani, i professori Ichino, Maresca e Dell’Aringa, che dicono il contrario e cioè che la sottoscrizione definitiva dell’accordo del 28 giugno non mina l’efficacia dell’articolo 8, anzi in un certo senso lo rafforza. Oggi grazie all’articolo 8 l’effetto retroattivo degli accordi di Pomigliamo e Mirafiori c’è».

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5 MILIONI Tanto costa all’anno a Confindustria l’uscita della Fiat, «l’1% dei contributi», precisa l’associazione industriali che minimizza le cifre diffuse dal Lingotto per cui la perdita sarebbe di 28 milioni di euro


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