Ruby, no allo stop chiesto dal premier “Processo avanti anche se c’è conflitto”
MILANO – Doppia débacle. Quasi in concomitanza, il gup di Milano Maria Grazia Domanico, ha rinviato a giudizio Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, con l’accusa di essere stati i reclutatori delle ragazze del bunga bunga. Il dibattimento per istigazione alla prostituzione e a quella minorile, inizierà già il prossimo 21 novembre davanti alla quinta sezione. Passano pochi minuti, e la speranza di sospendere il processo parallelo a carico di Berlusconi, causa «conflitto di attribuzioni» davanti alla Consulta, si sbriciola di fronte a un’ordinanza che bolla la richiesta di rinvio dei legali del premier come «manifestamente infondata».
E così, dopo la giornata processuale di ieri, si ha la certezza che tra un mese e mezzo il Rubygate, con tutte le ripercussioni sull’immagine del Cavaliere, rischierà concretamente di rivivere in un’aula di giustizia con una cadenza settimanale. Per questo, a metà pomeriggio, il collegio difensivo dell’imputato è furente e parla di “schiaffo alla Consulta”. Ma a fare storcere il naso a Niccolò Ghedini e a Piero Longo, non è soltanto la bocciatura della richiesta di sospendere il processo in attesa del verdetto della Corte Costituzionale (udienza fissata il 7 febbraio prossimo), ma soprattutto il calendario fissato dalla quarta sezione penale.
La prossima udienza, infatti, sarà sabato 22 ottobre, quando i difensori del Cavaliere dovranno replicare alle fonti di prova del procuratore aggiunto Ilda Boccassini. Giorno non gradito al pool di avvocati, che avevano già concordato con il presidente del Tribunale Livia Pomodoro, un solo giorno alla settimana per fare celebrare i 4 processi a carico di Berlusconi. «Noi questo accordo lo abbiamo rispettato, il tribunale no», ha così tuonato Ghedini.
Quattro piani più in alto, davanti al gup Domanico, invece, i legali di Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti hanno tentato, invano, di convincere il gup a non assecondare le richieste dei pm Pietro Forno e Antonio Sangermano, e prosciogliere i tre imputati. Uno dei legali della consigliere regionale del Pdl, Pier Maria Corso, ha utilizzato addirittura gli atti dell’altra inchiesta di Bari, sulle presunte escort introdotte a casa del premier per le serate del bunga bunga in versione Palazzo Grazioli. Le intercettazioni dell’indagine pugliese, secondo il legale, dimostrerebbero che era Tarantini a svolgere un ruolo di intermediario per le ragazze nelle ville del premier. Secondo l’avvocato, inoltre, anche il fatto che alcune delle “ospiti”, come Barbara Guerra e Marysthell Polanco, siano state presenti ad alcune feste sia a Roma a Palazzo Grazioli sia ad Arcore dimostra che il giro di ragazze era lo stesso ed era gestito da Tarantini e non dalla Minetti. Corso, in sostanza, non ha escluso il «traffico» di escort, ma semplicemente ne ha riconosciuto le responsabilità all’imprenditore pugliese.
Di fronte al rinvio a giudizio del direttore del Tg4, il Cdr, la rappresentanza sindacale della redazione, ha espresso vicinanza a Fede. «Preso atto della fiducia dell’azienda nei confronti del direttore, in attesa che la giustizia faccia il suo corso, noi – la redazione tutta – continueremo a svolgere il nostro lavoro, nella speranza che le accuse contro il direttore, risultino infondate».
Fede, dal canto suo, non si è detto sorpreso del rinvio a giudizio. «Lo davo per scontato, non avrei messo in dubbio che il gup si mettesse contro quella parte della procura di Milano che ha tra i suoi rappresentanti l’erede di Di Pietro, Ilda Bocassini». «Ho massima fiducia nella giustizia – ha concluso – mi diverte l’idea di confrontarmi con la verità ».
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