Nella Lega sale il vento anti-premier e a Brescia vince un uomo di Maroni
BRESCIA – E due. Dopo la Val Camonica, i leghisti con il maldipancia si prendono anche Brescia. Maroniani, certo: come il nuovo segretario eletto ieri dal congresso provinciale con 257 voti contro i 174 raccattati dallo schieramento avverso (e nel direttivo finisce 13 a 6). Il vincitore è Fabio Rolfi, 34 anni, vicesindaco a Brescia. Lo sconfitto è un suo coetaneo: Mattia Capitanio consigliere comunale a Torbole Casaglia. Non è una vittoria da poco, per gli equilibri interni al movimento: in questa provincia il Carroccio conta 106 sezioni e oltre 1.500 militanti. Capitanio era sponsorizzato dal Trota, il figlio del Capo, e dai cerchisti stretti attorno a Bossi. Un’altra batosta, per loro, dopo quella ricevuta una decina di giorni fa in quella Val Camonica dove Renzo era stato candidato alle ultime elezioni regionali, sollevando pesanti malumori nella base. Che al congresso ha criticato apertamente Monica Rizzi, assessore al Pirellone e grande sponsor di Bossi junior, e si è comportata di conseguenza: 110 a 41, ha vinto una altro maroniano, Enzo Antonini.
Ieri, all’auditorium Balestrieri di Brescia, il secondo round. Decisamente più importante del primo, se non altro per il numero di iscritti. Congresso a porte chiuse, entrano solo i delegati: così hanno deciso perché l’aria è decisamente frizzante ed è meglio non spiattellare davanti ai giornalisti i panni sporchi di famiglia. Ma ci vuole poco per capire che aria tira, basta ascoltare quel che dice un notabile come l’ex senatore Francesco Tirelli, tifoso di Rolfi: «Nella Lega qualcuno sa che cosa vuole, qualcuno non lo sa e qualcuno fa finta di non saperlo; noi nei sondaggi stiamo calando perché Berlusconi provoca un effetto traino al contrario: è ora di dire che se gli alleati sono funzionali al nostro disegno bene, altrimenti bisogna andare via».
Alle due del pomeriggio, quando il verdetto è chiaro, il nuovo segretario si concede al taccuino: «Il momento è difficile, nelle sezioni c’è grande disorientamento perché stiamo al governo e i risultati non arrivano». La targa di maroniano Rolfi non la rifiuta affatto, anche quando dice che «oggi ha vinto la Lega, siamo tutti bossiani». Però a lui piace tanto l’Umberto del ‘94, «sono entrato nella Lega quando Bossi ha fatto cadere il primo governo Berlusconi». All’uomo del Viminale, un peana: «Grande ministro, ha portato consensi alla Lega e al governo, ha saputo far crescere una nuova classe di amministratori». Però qualcosa accomuna, in questo congresso: i pesanti attacchi a Napolitano, che «nega la Padania e non può essere il nostro presidente», è l’urlo di quasi tutti i delegati che intervengono. Ma tra i vincitori questo è un modo per propiziare un ritorno al passato (torna prepotente l’espressione «indipendentismo»), che poi significa in buona sostanza farla finita con un ciclo governativo contrassegnato da rospi da ingoiare e da risultati vicino alla zero. «Mi auguro – spiega il sindaco di Dello Ettore Monaco prima di infilare la scheda nell’urna – che adesso si passi dagli slogan ai fatti; nella Lega si parla troppo di potere e poco di filosofia federalista».
Domenica prossima tocca a Varese, anche la culla del Carroccio va a congresso. E lì votano big come Bossi, Maroni, Reguzzoni, Giorgetti. Un delegato di Brescia vorrebbe che anche lì «le cose fossero chiare», in nome di quell’«esercizio della democrazia» che sta galvanizzando una parte consistente del movimento, incurante – e forse sofferente – delle voci sulla pax di convenienza siglata tra maroniani e cerchisti. Ma non è detto. Sulla carta ci sono tre candidati, uno è della Lega «di famiglia» gli altri due non sono maroniani puri, ed è per questo che tra i fedelissimi del ministro dell’Interno gira una voce: «Meglio appoggiare uno che non è proprio dei nostri, piuttosto che far prevalere gli altri». Chissà , forse è anche vero che “Bobo” non vuole stravincere, per non tirare troppo la corda in un momento obiettivamente difficile per la Lega. In ogni caso vale l’invito a evitare «fughe in avanti», come quella del sindaco di Macherio uscito allo scoperto troppo presto con una lettera pubblica ultra-critica nei confronti dei vertici del Carroccio. «Non era ancora il momento – spiega un altro delegato maroniano – bisogna fare un passo alla volta». Ma di pazienza a questa base ribollente ne è rimasta pochina.
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