Come a piazza Tahrir questa è la rivoluzione dei giovani senza futuro

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DOPO aver volato in tutto il mondo per coprire le proteste dal Cairo al Marocco, per riferire degli ultimi “tumulti di piazza” mi è stato sufficiente prendere la metropolitana.
Il movimento “Occupy Wall Street” (Occupiamo Wall Street) ha preso possesso di un parco nel distretto finanziario di Manhattan e lo ha trasformato in una base rivoluzionaria. Centinaia di giovani scandiscono slogan contro i “bankster” (banchieri-gangster) o i magnati delle grandi corporation. Ogni tanto alcuni di loro si tolgono pure i vestiti, attirando ancor più l’attenzione e le telecamere dei telegiornali.
Il movimento “Occupy Wall Street” in un primo tempo è stato trattato alla stregua di uno scherzo, ma trascorse due settimane sta prendendo sempre più piede e guadagnando seguito. E analoghe proteste e occupazioni si stanno moltiplicando un po’ ovunque, a Chicago, San Francisco, Los Angeles e Washington.
Ho spedito alcuni Tweet nei quali ho fatto presente che questa protesta mi ricorda un po’ quella di Piazza Tahrir al Cairo, e ciò ha fatto alzare più di un sopracciglio. È vero, di pallottole non c’è ombra e il movimento non si ripropone di destituire alcun dittatore. Ma in strada è sceso lo stesso tipo di giovani avviliti e arrabbiati. Si assiste allo stesso uso pratico di Twitter e dei social media per ingrossare le fila dei partecipanti. Più di ogni altra cosa, si percepisce una medesima sensazione di frustrazione generale nei confronti del sistema politico ed economico, che i manifestanti ritengono fallito, corrotto, irresponsabile e che agisce impunemente senza essere tenuto a rispondere del proprio operato.
I manifestanti sbalordiscono per il loro sapiente uso di Internet, e sono organizzati in modo impressionante. Dove il movimento risulta carente è nelle proprie rivendicazioni: non ne ha di concrete. I partecipanti perseguono cause diverse, in qualche caso donchisciottesche. C’è per esempio un manifestante che vuole far togliere il ritratto di Andrew Jackson dalle banconote da 20 dollari perché fu crudele nei confronti degli indiani americani. Cercherò pertanto di rendermi utile.
Non condivido i sentimenti di ostilità  al mercato di molti manifestanti. Le banche sono istituzioni preziose, che quando funzionano come devono mobilitano i capitali facendoli rendere al meglio e migliorando gli stili di vita. In realtà , le banche hanno socializzato il rischio e privatizzato i profitti. Convertire i mutui in titoli negoziabili, per esempio, ha arricchito enormemente molti banchieri, lasciando in definitiva i governi indebitati e i cittadini senza più casa. Abbiamo anche visto che le banche gestite in modo inadeguato e considerate “troppo grandi per poter fallire” possono risultare perniciose per gli interessi del pubblico invece di mettersi al suo servizio, e negli ultimi anni le banche l’hanno fatta davvero franca. È scandaloso e profondamente irritante vedere i banchieri salvati grazie all’aiuto dei contribuenti lamentarsi adesso per le regolamentazioni che dovrebbero servire a scongiurare il prossimo salvataggio in extremis. Ed è importante quindi che i manifestanti mettano in evidenza le crescenti sperequazioni: a qualcuno pare mai giusto che l’uno per cento degli americani più ricchi possieda nel complesso una rete di affari più grande di quella che possiede il restante 90 per cento della popolazione considerato nel suo insieme?
A coloro che hanno intenzione di convogliare la loro frustrazione anodina in qualche richiesta pratica, darei alcuni suggerimenti specifici. L’imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie. Si tratterebbe di una tassa di modesto importo sulle contrattazioni finanziarie, modellata sulla falsariga di ciò che suggerì James Tobin, l’economista americano che vinse un Premio Nobel. Scopo di questo provvedimento sarebbe quello di smorzare le manovre speculative che provocano una pericolosa instabilità .
Eliminare qualsiasi scappatoia ed espediente, tipo gli “incentivi riconosciuti ai gestori di un fondo, sulla base della performance complessiva fatta registrare dall’attività  di investimento” o le “azioni dei fondatori”, che potrebbero essere considerati gli sgravi fiscali più irragionevoli e meno scrupolosi d’America.
Proteggere le grandi banche da loro stesse. Ciò significa fare passi avanti con le clausole per il capitale fissate dal Basilea II e adottare la Volcker Rule, che limita la possibilità  per le banche di impegnarsi in investimenti rischiosi e speculativi. Altra proposta sensata, fatta sua dal presidente Barack Obama e da parecchi esperti internazionali, è la tassa sulle banche: questa potrebbe essere stabilita in funzione delle dimensioni e dell’influenza di un istituto bancario, così che i banchieri possano pagare per le loro “malefatte”, un po’ l’equivalente in finanza della tassa sull’inquinamento.
Buona parte degli slogan scanditi dal movimento “Occupy Wall Street” è alquanto insensata, e altrettanto si può dire dei moralistici slogan di una Wall Street che si considera superiore a chiunque altro. Ma se una plebaglia di qualche centinaio di giovani manifestanti può far sì che il nostro sistema finanziario diventi più equo e sia tenuto a rispondere del suo operato, le si dia maggiori poteri.
© New York Times – La Repubblica
Traduzione di Anna Bissanti


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