Il segnale dei lumbard per impedire un patto anti-Lega

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MILANO — Nel giorno dei «segnali forti», la Lega proclama il proprio. E attraverso Roberto Maroni recapita il suo avviso ai naviganti: nessuno pensi a stranezze sulla legge elettorale. E men che mai qualcuno si illuda di far fuori il Carroccio attraverso le alchimie di un nuovo sistema. In caso contrario, meglio il referendum. Meglio il Mattarellum.

Giusto una settimana fa, all’indomani dell’apertura del segretario pdl Angelino Alfano riguardo alla revisione della materia elettorale, Maroni aveva tirato dritto: «Non ho letto i giornali». Sette giorni dopo, quasi non c’è bisogno di porger la battuta: «Sono rimasto impressionato — scandisce il ministro — dal numero di firme raccolte in così poco tempo. Anche questo è un segnale forte e sono dell’opinione che vada ascoltato e che si debba procedere al referendum». La coda è polposa: «Non so se il Parlamento si rimetterà  a riformare la legge elettorale. Ma se lo fa, dovrebbe farlo nel senso del referendum». Nessuno spazio per avventure dall’esito incerto, o il Carroccio — è il sottinteso — farà  saltare il banco. Una presa di posizione condivisa con Roberto Calderoli.

In effetti, in soli sette giorni molto è cambiato. C’è stato il «senza risposte lasceremo i tavoli» di Emma Marcegaglia e della Confindustria. I cui giovani associati — altro «segnale forte» — non hanno invitato sul palco del tradizionale appuntamento di Capri alcun esponente politico. C’è stato, ancora, il «segnale forte» della paginata a pagamento sui giornali («Politici ora basta») di Diego Della Valle. Maroni ritiene necessario «tenerne conto», anche se è attento a chiarire che «ciò non significa disponibilità  a strane operazioni politiche, ma solo la presa d’atto di un appello che non si può ignorare, proprio perché viene da uno dei più grandi imprenditori italiani».

Ma c’è stato, soprattutto, il «segnale più forte di tutti»: il durissimo richiamo di Giorgio Napolitano al Carroccio, con parallelo appello al metter mano, rieccola lì, alla legge elettorale. E in sottofondo, un basso continuo che i leghisti ascoltano imbronciati: le dichiarazioni di corteggiamento del Pdl nei confronti dell’Udc; i «bisogna ridimensionare la Lega» di Gianni Alemanno. Un clima — per dirla con Maroni — che «tende sostanzialmente a presentare noi leghisti come degli appestati». Tuttavia, ricorda il ministro, «noi non possiamo sottovalutare il fatto che con le leggi elettorali si fanno la vita e la morte dei partiti». Ed è dunque ovvio che se l’argomento è questione di vita o di morte, il Carroccio non subirà  passivamente.

È vero però che, a dispetto degli innumerevoli e poco rassicuranti «segnali forti», la Lega non ha certo deposto l’ambizione di metter mano all’assetto istituzionale, Senato delle Regioni in primis. Roberto Calderoli ieri ha proposto uno dei suoi «cronoprogrammi», che appare più ottimistico rispetto alle preoccupazioni di Maroni: «La settimana prossima la proposta di riforma costituzionale verrà  trasmessa al Senato: dedichiamo i due mesi per l’esame in commissione e, ragionevolmente, la si potrà  approvare in aula entro dicembre 2011». La Camera potrebbe approvare la riforma in prima lettura entro marzo e a quel punto, suggerisce Calderoli, «utilizziamo i novanta giorni di intervallo previsti tra la prima e la seconda lettura per approvare una riforma della legge elettorale». Insomma, secondo il ministro alla Semplificazione il menù più ambizioso potrebbe arrivare in tavola entro l’estate. Né perfettamente coincidenti con il Maroni-pensiero appaiono le considerazioni del capogruppo alla Camera, Marco Reguzzoni, che sembra temere più le attuali opposizioni che non le mosse degli alleati: «Non vorrei che le polemiche di questi giorni avessero come unico obiettivo quello di favorire l’avvento di un governo tecnico con lo scopo di fermare le riforme, fare una bella patrimoniale e cambiare la legge elettorale». Un disegno che, secondo il capo dei deputati, unisce «la sinistra, Fini, Di Pietro, Casini e i vari Della Valle. Un’operazione gattopardesca tesa a cambiare tutto per non cambiare niente».

Eppure, in gran parte del Carroccio rimane ferma la convinzione che il periodo cruciale resti quello a cavallo tra gennaio e febbraio. Là  si saprà  se la Consulta ha ammesso o respinto il quesito referendario, là  sarà  chiaro se esiste o meno lo spazio per cambiare la legge elettorale in Parlamento (e soprattutto, come cambiarla). Là , in definitiva, il Carroccio deciderà  se staccare la spina al governo per evitare il rischio di leggi elettorali che nel movimento vengono chiamate, in purissimo maccheronico, «ad partitum, o meglio, versus partitum».


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