Blitz con drone contro al Qaeda

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 È stato ucciso ieri in Yemen Anwar al-Awlaki, militante islamista radicale, cittadino americano e uno dei leader chiave della frangia di al-Qaeda operante in Yemen e Arabia Saudita, al-Qaeda nella penisola arabica (AQAP).

Un drone americano ha colpito l’auto su cui viaggiava Awlaki insieme ad altri militanti islamici a Khashef, nella provincia di Jawf, circa 140 chilometri dalla capitale Sanaa e al confine con l’Arabia Saudita: un’operazione Cia in piena regola, con il sostegno del governo di Sanaa. La notizia è stata data dal ministero della difesa yemenita e confermata in seguito anche da un esponente del controterrorismo americano. Non è ancora arrivata nessuna reazione da parte di al-Qaeda, che di solito comunque impiega qualche giorno prima di rispondere, spesso on-line, a queste uccisioni.
Awlaki rappresentava per gli Stati uniti la paura peggiore: il nemico dall’interno. Era infatti cittadino americano: nato nel 1971 in New Mexico da padre yemenita, era cresciuto e aveva studiato negli Usa. Dopo un breve ritorno nel paese d’origine era tornato di nuovo negli Stati uniti, a San Diego, dove era diventato l’imam della moschea Masjid Ar-Ribat al-Islami.
La sua padronanza dell’inglese, unita al carattere carismatico e alla potente oratoria, hanno fatto di lui uno dei maggiori propagandisti di AQAP: Awlaki era accusato infatti di reclutare militanti per la causa sia con i violenti discorsi tenuti nelle moschee, sia grazie ad un utilizzo efficace di internet e dei social network. E di «aver programmato e diretto attacchi terroristici contro gli Stati uniti». Per qusto gli Usa lo consideravano un «terrorista globale», il «capo delle operazioni esterne» dell’organizzazione terroristica con base in Yemen, e lo avevano inserito tra i «most wanted».
Le accuse contro di lui sono molto precise: secondo il controterrorismo Usa Awlaki «ha avuto un ruolo operativo importante nel fallito attacco su un aereo di linea americano nel dicembre 2009 e ha supervisionato al piano di ottobre 2010 di far detonare un ordigno esplosivo a bordo di un aereo cargo». Inoltre ci sono prove concrete che alcuni degli attentatori dell’11 settembre 2001 abbiano seguito i suoi sermoni.
L’operazione che lo ha ucciso risponde ad un ordine preciso del presidente Obama: ammazzare Awlaki. Che è diventato così il primo cittadino americano ucciso da un’agenzia Usa per ordine della Casa Bianca. L’islamista era sopravvissuto in passato ad almeno altri tre attacchi, l’ultimo a maggio. Sembra che nell’operazione sia rimasto ucciso anche un altro esponente di al-Qaeda, Samir Khan, l’editore di Inspire, la rivista che è ormai diventata il principale veicolo di propaganda in lingua inglese per l’organizzazione terroristica. Non ci sono ancora conferme della notizia.
Soddisfazione è stata espressa dall’amministrazione americana: per Obama «la morte di Awlaki è un’altra prova che al-Quaeda e i suoi affiliati non troveranno più safe haven in nessuna parte del mondo». Non mancano però scetticismo e condanne. Un analista yemenita ha dichiarato ad Al Jazeera che «bisogna studiare il terrorismo, è necessario conoscere le ragioni del fenomeno. Oggi abbiamo ucciso la persona più ricercata al mondo ma domani avremo un’altra persona più ricercata al mondo. Dov’è la fine? Dovremmo trovare una soluzione». E i gruppi a tutela delle libertà  civili in America giudicano illegale uccidere una persona, anche se un pericoloso terrorista, senza un dovuto processo. Fatto che apre importanti questioni a livello giuridico, politico e morale


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