«Strade sicure» non piace ai soldati: «Usati dal governo»
E invece no. Per i soldati che da più di due anni sono impegnati nell’operazione «Strade sicure», la consegna è chiara: prestare sevizio presso i cosiddetti obiettivi sensibili, che per la stragrande maggioranza di loro significa turni massacrati trascorsi chiusi nelle camionette senza fare niente, se non far vedere che ci sono. «Un’operazione di immagine», ti ripetono chiedendo per favore di restare anonimi. «E’ degradante, perché ci sentiamo inutili mentre siamo stati addestrati per compiere missioni molto diverse da questa».
Aldilà di come la si pensi, di certo i 4.250 miliari che fino a dicembre saranno impiegati nel dare una maggiore sensazione di sicurezza ai cittadini non pensavano certo di finire in questo modo. Molti di loro hanno le spalle mesi trascorsi in missione in Afghanistan, Libano o Kosovo e si ritrovano adesso a montare la guardia a una stazione di metropolitana. Perché è questo quello che fanno. Impiegati inizialmente nel pattugliare le strade insieme a polizia e carabinieri, lentamente il loro ruolo si è ridotto sempre più. Oggi a Roma sorvegliano qualche ambasciata, le stazioni e, appunto, qualche snodo della metropolitana, oppure vengono impiegati per la sorveglianza esterna di Cie di Ponte Galeria, il centro dove vengono richiusi gli immigrati sorpresi senza permesso di soggiorno prima di essere espulsi. «Qualche settimana fa c’è stata una fuga dal centro», racconta un soldato. «I miei colleghi non hanno potuto fare altro che stare a guardare e per di più gli immigrati che stavano fuggendo gli hanno pure tirato dei sassi».
«Siamo inutili», te lo ripetono in continuazione. Per poi spiegarti in quali condizioni sono costretti a vivere. Turni di sei ore alle quali ne vanno aggiunte altre due per gli spostamenti dalla caserma al posto in cui si presta servizio e ritorno, e fino a poco tempo fa equipaggiati con un armamento del tutto inadeguato. «Recentemente per fortuna ci hanno dato la pistola. Prima eravamo costretti a montare la guardia armati con un fucile AR70/90. Facevamo ridere a stare in mezzo alla strada con un’arma da guerra». Fucili da guerra, che di certo non si possono usare in città , ma se si parla della difesa personale il discorso cambia. Basta chiedere a un soldato come sono i giubbetti antiproiettile che hanno in dotazione, e la risposta lascia stupiti. «Nel caso venissimo attaccati non servirebbero a niente», spiega un caporale che prima di finire davanti a un’ambasciata ha passato molti anni in missione all’estero. «Pesano 15 chili e ti proteggano solo dalle schegge ma se qualcuno dovesse spararci addosso…».
Ma la vita dei soldati impegnati in «Strade sicure» può riservare anche altri aspetti spiacevoli. La missione costa allo Stato oltre 60 milioni di euro l’anno, che di questi tempi hanno il sapore di soldi buttati al vento. Ti aspetteresti in cambio condizioni di alloggio per i militari quantomeno decenti. E invece no. «In servizio spesso non abbiamo neanche la possibilità di andare in bagno», raccontano. «Una volta di fronte alla nostre proteste ci hanno risposto: ‘Se devi pisciare entra nella camionetta e falla in una bottiglia’». E le cose non cambiano in caserma. Alle Cecchignola, la cittadella militare di Roma dove alloggia una parte dei soldati impegnati nella capitale, gli ufficiali possono contare su stanze a due letti con bagno, ma i soldati devono accontentarsi di bagni in condizioni igieniche inesistenti e camerate aperte e comunicanti tra loro: «Non pretendiamo la privacy, ma almeno la possibilità di poter dormire quando non siamo in servizio – raccontano -. E invece senti le voci dei colleghi che magari stanno montando o rientrano dal loro turno e tu alla fine non riposi mai».
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