Ricetta Miliband per il laburismo del nuovo secolo

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LONDRA — I laburisti provano a risalire la china ma la strada è lunga e in salita. Gli elettori britannici, come rivelano i sondaggi più recenti, non li ritengono ancora credibili per governare la crisi economica. I consensi sono superiori a un anno fa ma un punto dietro ai Tory (37 a 36). Pesano nel giudizio le complicità  passate coi banchieri responsabili del terremoto finanziario ma pesano anche i condizionamenti sindacali sulla linea del partito e le incertezze di linea politica. Morto e sepolto il New Labour di Tony Blair (fischi da una parte del congresso di Liverpool solo a sentirne pronunciare il nome) il centrosinistra va in cerca di nuove idee. Per il giovane Ed Miliband (41 anni), leader dal settembre 2010 e ritenuto «acerbo» per comandare da Downing Street (il 57 per cento non lo considera pronto), si prospetta la necessità  di compiere alcune scelte di fondo per ridimensionare la sinistra delle Trade Union (il 43 per cento giudica eccessiva la loro influenza, solo il 27 respinge questa considerazione), per ritrovare il consenso del ceto medio tartassato dai sacrifici, per indicare una ricetta seria su austerità  e crescita. Sarà  capace di dare respiro a un altro laburismo?

Le risposte dell’opinione pubblica, misurate dalla indagini statistiche, sono freddine. A Ed Miliband si chiede il coraggio di un taglio netto con gli equilibrismi utili a tenere assieme il partito ma poco condivisi da chi vuole proposte innovative. Lui ci tenta a sgomberare il campo dai vecchi equivoci. E dal palco di Liverpool invita i laburisti riuniti nella conferenza annuale a stipulare un «nuovo patto» con l’elettorato, evitando di «portare indietro le lancette dell’orologio». La «dura lezione» dell’ultimo decennio, dice Miliband, mette a nudo gli errori gravi compiuti sia da Blair sia da Brown: i laburisti hanno avuto la loro parte nel favorire la cultura dell’egoismo e dell’arricchimento facile («the fast-buck culture»), «abbiamo consentito che prosperassero e si premiassero gli interessi della grandi banche, della gente sbagliata» (cita l’ex boss di Royal Bank of Scotland, quel Sir Fred Goodwin così intimo dei circoli del centrosinistra), e «siamo corresponsabili del declino morale». Ed Miliband non può permettersi svolte storiche. Non è il momento. Cammina ancora fra le spade puntate della destra e della sinistra laburista ma qualche passaggio rende chiaro che non intende farsi risucchiare nelle sabbie mobili dell’immobilismo. Tiene a bada la componente sindacale ma non la tranquillizza. Due passaggi esplicitano lo strappo. Uno è sulla possibilità  che le Union convochino uno sciopero generale del settore pubblico. «Non sono d’accordo, è sbagliato». L’altro è una riabilitazione (parziale) di Margaret Thatcher: «Qualcosa di ciò che accadde negli anni Ottanta fu giusto. Ad esempio, fu giusto tagliare le tasse e fu giusto rendere obbligatorie le consultazioni fra i lavoratori sulle proposte di sciopero».

Esclude sbandamenti a sinistra, Ed Miliband, e accende i suoi quando spara a zero sull’austerità  a tappe forzate imposta dai conservatori e dai liberaldemocratici, però ammonisce che il tempo degli sprechi è finito e che in futuro «quando torneremo al governo dovremo prendere dure decisioni, non avremo possibilità  alcuna di rovesciare molti dei tagli che si stanno facendo ora».

I laburisti si misurano con i trend dell’economia: è sulle strategie di contenimento della spesa pubblica e di crescita che gli elettori aspettano Ed Miliband al varco. Lui si lancia in una promessa: «Spenderemo solo ciò che potremo permetterci». La ricetta del rigore prevede la vendita delle azioni delle banche nazionalizzate. «Ogni singolo penny lo useremo per abbattere il debito».

La barra del laburismo volge al centro. Ma la sinistra sindacale conta ancora molto nel centrosinistra. E il cammino di Ed Miliband sarà  faticoso.


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