Ancora incidenti in Kosovo Proiettili Nato contro i serbi
Nel giorno in cui erano annunciati a Bruxelles colloqui diretti tra Belgrado e Pristina, la tensione in Kosovo è riesplosa. Ma il fuoco covava sotto la cenere, visto che la protesta dei serbi del nord, che da dieci giorni hanno eretto barricate e posti di blocco in tutta la regione, non accenna a diminuire di fronte al tentativo di Pristina di controllare con la forza, e con l’aiuto di Nato e Ue, i cosiddetti posti di frontiera di Jarinje e di Brnjak , cioè di definire una volta per tutte, con l’uso della forza, una sovranità statale che Belgrado e i serbi del Kosovo non riconoscono da quando nel febbraio del 2008, unilateralmente, Pristina proclamò l’indipendenza. La Kfor-Nato aveva lanciato con gli elicotteri migliaia di volantini nei quali definiva «illegali» i blocchi stradali e «contrari all’idea di una protesta pacifica». Per tutta risposta i serbi del nord del Kosovo avevano volantinato con un testo in serbo e in inglese: «I blocchi esprimono il nostro malcontento. Va rispettata la Risoluzione 1244: il Kosovo è parte integrante della Serbia e in Kosovo non vi sono confini. Ed è meglio difendersi con le barricate che con la lotta armata».
Anche gli incidenti di ieri sono avvenuti in corrispondenza della «frontiera da inventare» di Jarinje. I militari della Kfor e i poliziotti della missione Eulex dell’Ue erano intervenuti anche nella notte per rimuovere con la forza alcune barricate, e questo ha provocato la reazione dei serbi, che hanno in primo tempo bersagliato con sassi le truppe della Nato. Quando i soldati Kfor hanno risposto non solo con i gas lacrimogeni e i proiettili di gomma ma anche sparando direttamente sui civili, anche i serbi hanno sparato con armi automatiche di piccolo calibro. A metà giornata il bilancio era di sette serbi e quattro militari Kfor feriti, uno dei quali in modo grave. I militari della Kfor sostengono di aver sparato solo proiettili di gomma. Ma secondo Milan Jakovljevic, direttore dell’ospedale di Kosovska Mitrovica, sono stati usati anche proiettili veri, mostrando ai giornalisti le radiografie e un proiettile Nato estratto dal corpo di un ferito. Anche due veicoli di Eulex, la missione europea in Kosovo, sono stati attaccati e distrutti. Il portavoce di Kfor, Kai Gutendoge, invia nell’area ingenti rinforzi e lancia un diktat: «La violenza non sarà tollerata».
Il ministro serbo per le questioni del Kosovo, Goran Bogdanovic, denuncia che a sparare sono stati «i militari tedeschi della Kfor» e che il premier kosovaro-albanese Hashim Thaqi ha cercato di «forzare la mano alla vigilia della ripresa del dialogo». In serata, mentre il presidente serbo Boris Tadic lanciava un appello «alla calma», arriva la dura presa di posizione del ministro dell’interno serbo, il socialista Ivica Dacic, che definisce il comportamento dei militari della Kfor «una grande vergogna» per la comunità internazionale e chiede che venga «urgentemente precisato il mandato della missione, se i militari Nato hanno agito di loro iniziativa o se hanno risposto a un ordine». «Se la comunità internazionale – ha concluso Dacic – continuerà a pensare di poter usare la forza al posto del dialogo, di sicuro Belgrado non resterà a guardare con gli occhi chiusi». Siamo alla possibilità che Belgrado mobiliti le forze armate?
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