Standard & Poor’s nel mirino della Sec
NEW YORK – Nel luglio del 2007 i broker milionari di Wall Street avevano perso la testa per un delfino. Tutti volevano Delphinus, tutti cercavano Delphinus. E la domanda di quel pacchetto di obbligazioni strutturate sui mutui, il cui acronimo tecnico diventerà tristemente famoso, Cdo, salì così tanto che la banca che aveva impacchettato quella robaccia, Mizuho Financial Group, alzò l’offerta da 1,2 a 1,6 miliardi di dollari. L’America, disse il capo delle operazioni, chiede a gran voce «investimenti di migliore qualità ». E gli sventurati di Standard’s and Poor, l’agenzia di rating che certificava quella “qualità “, risposero: apponendo la loro ambitissima tripla A. Ci sono voluti sei mesi perché il cdo Delphinus si inabissasse nei mari del default: per non emergere mai più. C’è voluto un anno perché la mattanza di delfini e altre obbligazioni-spazzatura trascinasse Wall Street e tutta l’economia mondiale nella più grande depressione dal 1929 a oggi. Ma ce ne sono voluti quattro, di anni, perché a qualcuno venisse chiesto conto di quella follia. Certo: il fatto che la Sec indaghi soltanto adesso, dopo che Standard’s & Poor ha tolto la tripla A perfino al governo degli Usa, stende sull’operazione giudiziaria il velo della vendetta politica. Ma nella amministrazione Obama giurano che l’inchiesta è cominciata molto, molto prima del criticatissimo downgrading.
La notifica ricevuta da S&P’s è una sorta di avviso di garanzia. E arriva dopo che anche il Dipartimento di Giustizia ha aperto il mese scorso un’altra inchiesta: per scoprire, anche qui se l’agenzia di rating, abbia volutamente ipervalutato una serie di pacchetti-spazzatura. Anzi in questo caso l’inchiesta del ministero avrebbe già portato alla luce divisioni interne all’agenzia: con i tecnici costretti dai superiori a bollare con la tripla A tutto il bollabile.
Entrambe le inchieste del governo potrebbero sfociare in un’azione civile con richiesta di danni miliardari. Quanto basta per allertare i vertici di McGraw Hill, proprietaria dell’agenzia, che proprio in questi giorni stanno cercando di arginare la rivolta degli investitori “splittando” in due l’attività madre della casa (un colosso dell’editoria scolastica) da quella appunto del rating.
Da S&P’s a Moody’s fino a Fitch’s, le tre sorelle sono da tempo nel mirino: quei cdo da loro certifcati erano invece confezionati con mutui che nessuno era in grado di pagare. Ma mentre il conto era stato finora riservato soprattutto alle banche che vendevano i prodotti spazzatura (il caso più famoso è quello di Abacus, un cdo pieno di vuoto graziosamente impacchettato da Goldman Sachs), le agenzie erano state per il momento risparmiate. Del resto solo la riforma finanziaria di Barack Obama, entrata da qualche mese in vigore, ha limitato il loro potere: fino a poco tempo fa, se portate a giudizio, avrebbero potuto invocare il primo emendamento. E no, dice la nuova legge, il rating non è solo libertà di espressione: è anche e soprattutto business. Basta del resto vedere chi paga. Gli investitori, logica vorrebbe. Macché: quegli stessi confezionatori di prodotti su cui le agenzie poi appiccicavano la tripla A. Magari scambiando, chissà se solo per distrazione, merluzzi per Delphinus.
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