Una battaglia vinta in Rete ecco la “Primavera di Riad”

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IL VENTO della primavera araba soffia anche sul Golfo e la monarchia saudita corre ai ripari prima che le sue folate si facciano impetuose.
L’annuncio, fatto dal re Abdullah, che le donne avranno diritto di voto e potranno candidarsi ed entreranno nel consiglio della Shura, è sicuramente una novità  di rilievo. Anche se, per sopire le riserve dell’ala più conservatrice del regime, questi passi vengono diluiti nel tempo. Così le donne non potranno godere dell’elettorato attivo e passivo nella tornata delle municipali, uniche elezioni previste nel regno, del 29 settembre ma dovranno aspettare quattro anni. Anche la partecipazione alla Shura, organo che risponde al principio coranico della consultazione del leader con i suoi più stretti collaboratori e con le diverse “sensibilità ” della comunità , riguarderà  la prossima sessione. Il Consiglio, formato da 150 membri cooptati, è una sorta di antenna e, allo stesso tempo, una camera di compensazione, che la monarchia usa come recettore e mediatore delle diverse istanze che si muovono nella società .
La decisione di Abdullah è il frutto della battaglia modernizzante delle donne più giovani e istruite della vastissima famiglia reale e di quelle dei ceti che vi ruotano attorno. Donne che appartengono a pieno titolo alla nuova élite mondiale globalizzata, abituate a viaggiare e che spesso hanno completato la loro formazione, all’estero. Donne che discutono in Rete. Se esse non avessero posto il problema, nulla si sarebbe mosso. Nello Stato-rentier saudita, che ha storicamente rovesciato il principio liberale «niente tassazione senza rappresentanza» nel suo opposto patrimonialista «niente rappresentanza senza tassazione» – grazie ai proventi della rendita petrolifera i sauditi non pagano di fatto imposte – l’estensione del voto femminile tende a prevenire e svuotare le contestazioni che potrebbero arrivare da quei settori, pur minoritari, che chiedono maggiore democrazia e potrebbero godere della “non ostilità ” degli Stati Uniti.
Quella battaglia non avrebbe avuto successo senza i profondi sconvolgimenti che stanno scuotendo la Mezzaluna. Concedere più spazio alle donne, anche se molti nella Shura avevano sconsigliato il loro diritto a candidarsi, è ritenuto il male minore di fronte alla prospettiva del “contagio” esterno. Giudizio condiviso anche in quei settori della famiglia reale e degli ulama meno favorevoli all’apertura. Essi sanno che nel mondo islamico il Dio del Politico è maschio. E l’ascesa al cielo delle donne è ritenuta controllabile. Molto di più di quanto sarebbe avvenuto se il regime avesse concesso loro maggiori diritti sul terreno dei diritti civili. Come ricordano le mobilitazioni, apparentemente impolitiche, che le donne hanno fatto per poter guidare o quelle, ancora sotto traccia, per spostarsi senza essere accompagnate, o prendere una decisione, senza coinvolgere un familiare maschio che funge da “tutore”.
Riconoscere questi diritti avrebbe voluto dire lasciare spazio all’autonomia e alla libertà  femminile. Un passo che sia il regime, sia il corpo sociale maschile, rigidi fautori del controllo del corpo femminile, non vogliono compiere. Paradossalmente ma non troppo, la concessione di maggiori libertà  politiche senza allargare prima quelle civili, consente di accantonare questioni dirompenti, destinate a sollevare il veto degli ulama, veri garanti della legittimazione religiosa dei Saud. Una scommessa comunque, quella del Regno: la soggettività  femminile si sta rivelando ovunque una variabile di non facile controllo. Pur tra mille resistenze, potrebbe farsi strada anche nei, sin qui, impenetrabili labirinti maschili del potere saudita.


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