Il manifesto di Confindustria

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ROMA – «Siamo pronti a scindere le nostre responsabilità  da quelle del governo perché vogliamo un cambiamento vero». Nel giorno in cui nel Pdl parte la «caccia» a Tremonti, gli imprenditori annunciano il divorzio da Berlusconi e attraverso la presidente della Confindustria Emma Marcegaglia lanciano un appello, «un manifesto» alle forze produttive: «Salviamo l’Italia». E’ un divorzio annunciato da giorni: prima le critiche degli imprenditori alla manovra che non prevede nessuna misura per la crescita economica, poi le dichiarazioni sempre più categoriche e insofferenti del vertice sulle «brutte figure che siamo costretti a fare all’estero», infine ieri lo strappo finale. «Non è più tollerabile una situazione di stallo» ha detto la leader di Confindustria parlando all’Assemblea di Firenze. Una situazione «in cui si vivacchia e in cui ci si limita a fare qualche piccola manutenzione». È una bocciatura inequivocabile accompagnata da un ultimatum: «Se il governo è disponibile a parlare con noi di grandi riforme noi siamo pronti a ragionare. Se invece il governo vuole andare avanti su piccole cose di manutenzione non siamo interessati, non siamo più disponibili. Vogliamo un cambiamento vero». Sono cinque i punti, le riforme, su cui Confindustria chiede l’impegno del governo: fisco, pensioni, spesa pubblica, liberalizzazioni e infrastrutture. Ai sindacati le imprese sarebbero disponibili a concedere un’apertura sulla patrimoniale in cambio di un segnale sulle pensioni. È il dialogo auspicato da Napolitano, ma manca la voce del governo. E anche se ieri Berlusconi ha fatto filtrare da Palazzo Grazioli la sua intenzione di mettere mano alla crescita, è difficile pensare a una azione coordinata del governo nel momento in cui il divorzio di Berlusconi e Tremonti sta vivendo il suo atto finale. L’ultima battaglia ha per oggetto l’assenza del ministro dell’Economia alla votazione che ha salvato per un pelo dall’arresto Milanese. Tremonti era andato a Washington per il Fondo monetario, ma quasi tutto il Pdl lo ha attaccato per la scelta. Non il sindaco di Roma Alemanno, secondo cui «ha fatto bene», ma il resto del partito dà  sfogo alla sua antipatia per il ministro accusato di non ascoltare nessuno. «Certamente un mal di pancia c’è», ammette il ministro della Difesa La Russa. E le tensioni in consiglio dei ministri non sono state smentite da nessuno. «Il governo rischia, deve agire con o senza Tremonti», sollecita un berlusconiano di ferro come Osvaldo Napoli. E anche Scilipoti, che rimane pur sempre decisivo per la sopravvivenza del governo, chiede direttamente le dimissioni del ministro. Tra i leghisti – che devono spiegare alla base perché hanno salvato Milanese e stanno per salvare anche il ministro siciliano dell’Agricoltura Romano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa – l’irritazione per l’assenza di Tremonti è molto forte. La sintetizza il capogruppo Reguzzoni: «Siamo rimasti molto sorpresi. Colpiti». In difesa di Tremonti scende in campo Mario Monti, l’ex commissario europeo indicato più volte come possibile successore di Berlusconi. «E’ stato molto sgradevole vedere come sono state voltate le spalle a Tremonti». Per Monti la tenuta dei conti è un merito del ministro, ma dal governo è stato negato il problema della crescita: «E Berlusconi ha reso più invisa agli italiani l’economia di mercato e ha reso più impopolare l’Europa attribuendo a loro la colpa della manovra».


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