Abu Mazen: “Riconoscete la Palestina”

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NEW YORK – L’uomo in grigio che rinunciò alla kefia sbandiera la domanda di ammissione all’umanità : «Eccellenze, ladies and gentlemen, ho il piacere di informarvi che prima di pronunciare questa dichiarazione ho presentato domanda per l’ammissione della Palestina alle Nazioni Unite». L’assemblea generale dell’Onu esplode in un boato da stadio come se Mahmoud Abbas, il presidente palestinese che non ha nulla del carisma di Yasser Arafat, fosse il leader dei leader. Ma davvero ha ragione Barack Obama: fosse così semplice arrivare all’indipendenza, ha detto da questo stesso podio, l’avremmo fatto da tempo.
Vedremo. La sfida è lanciata e adesso tocca al Consiglio di Sicurezza non fare precipitare tutto nel caos. La standing ovation che chiude il discorso è la conferma che tutti sanno: la maggioranza dei 193 Stati è pronta ad accettare la 194esima nazione. Ma finora l’unica pace che la richiesta è riuscita a suggellare è quella tra Israele e l’amico americano.
«Non credo ci sia nessun con un briciolo di coscienza» dice il palestinese «che possa rifiutare la nostra richiesta». Invece c’è. Gli Stati Uniti, che hanno promesso il veto, sarebbero riusciti a neutralizzare la mossa coalizzando al Consiglio una maggioranza di blocco di 9 voti: l’ultimo paese deciso ad astenersi sarebbe la Bosnia Erzegovina. Ma la speranza è di riallacciare i colloqui prima di un voto che comunque non ci sarà  prima di settimane o mesi. Come? «Nell’anno della primavera Araba è venuto il momento della Primavera Palestinese» grida Abbas scatenando la platea. E proprio la lezione della primavera e il metodo-Libia potrebbero guidare le mosse del Quartetto – Onu, Usa, Ue e Russia. Con i francesi in un ruolo più attivo – Nicolas Sarkozy ha già  stilato proprio qui una road map – e l’America ormai troppo ingombrante in posizione appunto più defilata. La proposta: palestinesi e israeliani si rivedano entro un mese impegnandosi a raggiungere un accordo in un anno. «Approfittatene» si appella ai duellanti di rimbalzo la Clinton. «E’ l’unica strada». Basterà ?
«Dividiamo la stessa patria, dividiamo la stessa terra» dice il premier israeliano Bibi Netanyahu dallo stesso podio mezz’ora dopo: «Siamo qui sotto lo stesso tetto, incontriamoci ora per discutere». La claque degli israeliani strategicamente piazzati nel loggione del Palazzo di Vetro si scatena. Ma lo sa lo stesso Bibi che sono parole. E’ lui che ha bloccato il dialogo evitando di fermare quegli insediamenti «che sono il nucleo» accusa Abu Mazen «della politica di occupazione coloniale e della brutalità  dell’aggressione e della discriminazione razziale contro il nostro popolo». Di più: l’occupazione è «una violazione della legge internazionali e delle risoluzioni dell’Onu». E diventando stato, si sa, la Palestina potrebbe chiederne conto: trascinando Israele davanti alla Corte di giustizia.
Netanyahu contrattacca: «Non sono venuto qui per raccogliere gli applausi ma raccontare la verità ». Difficile d’altronde pretendere applausi prendendosi gioco dell’assemblea. Senza offesa per nessuno, dice, ma quando per la prima volta arrivai qui un rabbino mi disse che mi andavo a infilare «nella casa delle bugie». Sfodera tutta la sua grinta: contro di noi da qui sono partite più risoluzioni che contro tutti gli altri paesi insieme. E sentenzia: qui è «un teatro dell’assurdo».
Un teatro che si infiamma però alle parole di Abu Mazen: «E’ venuto il tempo per i nostri uomini, le nostre donne e i nostri bambini di vivere vite normali. Di andare a letto senza aspettare il peggio che il giorno dopo porterà . E’ venuto il tempo per le nostre mamme di essere sicure che i bambini possano tornare a casa senza paura di essere uccisi, arrestati, umiliati». E che dialogo aprire con Netanyahu che gli risponde ironico che da quando Israele ha alleggerito i checkpoint, in fondo, la Palestina «ha potuto godere della crescita dell’economia»? Sì, bibi continua a dire che è venuto fin lì «per tendere ancora la mano». Ma è sempre Abbas a eccitare l’assemblea ricordando proprio Arafat che nella stessa aula invitò «a non lasciare cadere il ramo di ulivo dalla mia mano». Non ricorda, il premier dal nome di battaglia di Abu Mazen, che nell’altra mano, in aula, Yasser stringeva anche la pistola del guerrigliero. E Netanyahu lo sfida ancora: Abbas dice che i palestinesi sono armati solo di «sogni e speranze»? «Sì: sogni, speranze e 10mila missili forniti dall’Iran».
Abbas si indigna: «Il mio popolo aspetta di sentire la risposta del mondo: permetterà  a Israele di continuare l’unica occupazione della terra?». Lunedì il consiglio comincia a discutere: la risposta arriverà . Col tempo.


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