Bersani detta la nuova linea: attaccare il Carroccio «salva cricca»
ROMA — All’apparenza, ma solo all’apparenza, il Pd ha perso l’ennesima battaglia parlamentare. In realtà l’esito era scontato: al Partito democratico non si aspettavano un risultato diverso. Tant’è vero che Bersani aveva già impostato la strategia: partire all’attacco della Lega.
Il ragionamento fatto dal segretario è stato questo: «Dobbiamo pungolare il Carroccio, dire che ha salvato Silvio Berlusconi e la cricca. Fare una grande campagna su questo. Infatti, la base leghista è già molto in sofferenza, e non reggerà più di tanto. E allora Maroni potrebbe finalmente trovarsi costretto a tagliare con questo governo». Senza contare il fatto che in questo modo il segretario spera di togliere dei voti alla Lega.
E così, ieri, è stato tutto un profluvio di dichiarazioni di esponenti del Pd contro il Carroccio. «L’accordo tra Lega e Pdl distrugge l’Italia», ha affermato Nicola Zingaretti. «Il Carroccio ha preferito la sopravvivenza», ha chiosato Enrico Letta. «Ormai sono come i responsabili», ha rincarato la dose Francesco Boccia. «I guerrieri padani, quando il capo della Lega fischia, accorrono scodinzolanti», ha ironizzato Franceschini. «Siamo passati da Alì Babà e i quaranta ladroni ad Alì Babà e i quaranta Maroni», ha commentato sarcastica Pina Picierno.
Nel frattempo, il Partito democratico ha deciso di tappezzare tutte le città del Nord con dei manifesti che sbeffeggiano Bossi e i suoi. Su uno sfondo verde campeggia la figura di Alberto da Giussano con la spada afflosciata, sotto una domanda provocatoria: «Dov’è il Carroccio di una volta? La Lega salva la cricca». Insomma, avanti tutta contro Bossi, nella speranza che Maroni si sganci. Certo al Pd si rendono conto che la fase è delicata, che con la riforma elettorale che vuole l’Udc e la promessa che Berlusconi non si ricandiderà alle prossime elezioni, il centrodestra potrebbe stringere un patto con i centristi, mettendo all’angolo il Partito democratico e i suoi alleati. Ma a Largo del Nazareno si spera comunque che la maggioranza non riesca a portare a termine il proprio piano, che non ce la faccia, a gennaio, ad accelerare l’offensiva della simpatia nei confronti di Casini.
Per il resto, Bersani continua a ripetere che la posizione ufficiale del Pd è questa: «Governo di transizione per fare la legge elettorale o elezioni». Il segretario, però, pone l’accento sulla seconda soluzione. Della prima non si fida. Teme che il suo partito possa essere coinvolto in un governo di responsabilità nazionale e costretto a una manovra lacrime e sangue. «Così poi alle elezioni veniamo penalizzati: la manovra meglio farla dopo il voto, a inizio legislatura», spiegano a Largo del Nazareno. Per questa ragione Bersani parla di un esecutivo per varare la riforma elettorale e non accenna ad altri compiti.
Mentre tra la sede del Pd e il palazzo di Montecitorio i dirigenti del partito preparano le loro strategie e danno grande enfasi alla manifestazione indetta per il 5 novembre e intitolata «In nome del popolo italiano», la periferia è in agitazione. Lo sono soprattutto i sindaci, che toccano con mano le difficoltà che ha il Pd ad attrarre consensi. Per questa ragione uno di loro, il primo cittadino di Forlì Roberto Balzani, molto amico di Goffredo Bettini, ha deciso di organizzare una grande manifestazione con i giovani amministratori locali del Pd sparsi in tutta la penisola. Tema dell’iniziativa, il libro dello stesso Bettini: «Oltre i partiti». La proposta: costruire un nuovo grande soggetto politico con dentro da Vendola ai radicali.
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