Strauss-Kahn si confessa in tv «Moralmente sono colpevole»

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PARIGI — Il telegiornale di Tf1 comincia con la storia di due ragazzine scomparse e ritrovate dopo un paio d’ore sane e salve, continua con il guaio delle alghe in Bretagna e prosegue con le difficoltà  degli orticoltori. A nessuno interessa. Alle 20.09, finalmente, la più importante anchor woman francese — e amica di famiglia — Claire Chazal introduce Dominique Strauss-Kahn, presente in studio. Giacca nera, mani conserte, muscoli facciali di marmo, l’ex direttore del Fondo monetario internazionale ed ex favorito socialista alla carica di presidente della Repubblica si lascia inquadrare senza un sorriso. Non sorriderà  mai, a meno di non contare le smorfie di amarezza, durante i 23 minuti dell’intervista che la Francia intera — e non solo — attende da quattro mesi. Alla fine, quanto alle presidenziali, il pubblico ottiene la conferma di quanto in fondo già  immaginava: sì, DSK stava per candidarsi all’Eliseo e ora — «evidentemente» — non può più. Ma non è solo per questo che milioni di francesi stanno davanti allo schermo. Claire Chazal ricorda brevemente lo scandalo del Sofitel per poi porre subito la domanda capitale, liberatoria: «Può essere lei, stasera, a dirci che cosa è successo nella camera 2806, sabato 14 maggio?».
La camera 2806
Dominique Strauss-Kahn inspira. È il momento. «Molte persone si sono espresse su questo caso, tranne me. Perché avevo detto che ne avrei parlato innanzitutto davanti ai francesi. Ho sempre dichiarato la mia innocenza, e sono contento stasera, una volta cadute le accuse, di potermi spiegare. Dunque, che cosa è successo. Quel che è accaduto non comprende né violenza, né costrizione, né aggressione, né qualsiasi atto delittuoso — è il procuratore di New York a dirlo, non io —. Quel che è successo è non solo una relazione inappropriata ma direi di più, una colpa. Una colpa nei confronti di mia moglie, i miei figli, i miei amici, ma anche una colpa nei confronti dei francesi, che avevano riposto in me le loro speranze di cambiamento. Da questo punto di vista, bisogna dirlo, ho mancato l’appuntamento con i francesi».
La colpa morale
Strauss-Kahn comincia con un atto di contrizione. Al di là  dell’esito giudiziario delle accuse è l’unico modo per risalire nella considerazione dell’opinione pubblica. Glielo hanno consigliato in molti, ma sembra credibile. Non cerca le parole, è determinato. È il DSK di sempre, chiarissimo anche quando parla di debito greco o di shadow banking; stasera applica la sua intelligenza e la sua passione a domande come quella successiva: «Il procuratore ha parlato di rapporto precipitoso con la Diallo — dice la Chazal —. Intendeva forse a pagamento?». «No, non è stato un rapporto a pagamento — risponde Strauss-Kahn —. Una debolezza? Neanche, credo si sia trattato di qualcosa di più grave. Una colpa morale. Non ne sono fiero. Me ne sono pentito ogni giorno durante questi quattro mesi, e penso di non avere ancora finito».
La giustizia americana
Claire Chazal: «La abbiamo vista in manette. Pensa che la giustizia americana sia stata violenta nei suoi confronti?». Dominique Strauss-Kahn prende tempo. Respira. «Ho avuto paura. Ho avuta molta paura. Quando uno si trova preso nelle morse di questa tenaglia, ha l’impressione di venire stritolato. Ho avuto il sentimento di essere calpestato, umiliato. Prima ancora di potere dire una parola. In questa vicenda ho vissuto delle cose violente, sì. Ho patito degli attacchi terribili, e ho perso molto. Anche se altri in altre circostanze hanno potuto perdere più di me».
Il complotto
L’altro grande interrogativo di questi quattro mesi. L’intervistatrice pone la domanda che milioni di persone si sono fatta, almeno una volta: «Ha mai pensato a una trappola, a un complotto?». La risposta non è scontata. DSK è un uomo ferito, addolorato, e dispiaciuto. Ma da questo momento dell’intervista in poi mostra voglia di combattere. «Una trappola è possibile. Un complotto? Vedremo. Comunque ci sono delle zone d’ombra. Per esempio, alla pagina 12 di questo rapporto (che DSK sbandiera più volte, ndr) il procuratore dice che alcune informazioni sono state offerte a Kenneth Thompson, l’avvocato di Nafissatou Diallo, sugli spostamenti all’interno dell’hotel. E precisa, “non siamo state noi a dargliele”». Claire Chazal: «Pensa quindi che ci siano state complicità  da parte del Sofitel?». DSK si accalora, alza la voce: «Qualcuno queste informazioni deve averle fornite! E anche noi le avevamo chieste, ma ci sono state rifiutate! Vorrei sapere perché si è deciso di collaborare con chi mi accusava, e non di aiutare me». Claire Chazal: «Per il momento lei non rivolge accuse?». DSK: «Vedremo».
Anne Sinclair
«Mia moglie è una donna eccezionale. No non avrei resistito a tutto questo senza di lei. Ho avuto una fortuna folle ad averla al mio fianco. Le ho fatto del male. Lo so. Me ne voglio. Ma sapete… Lei non mi sarebbe stata così vicino, non mi avrebbe aiutato così tanto, se sin dal primo secondo non fosse stata certa che ero innocente». Quanto alla casa gigantesca affittata per gli arresti domiciliari a Manhattan, «non mi piaceva, costava cara, ma dagli altri appartamenti più piccoli ci hanno cacciato i condomini, che non volevano trovarsi con 400 giornalisti sotto casa. Quel posto era l’unico modo per non tornare a Rikers Island».
La leggerezza perduta
L’affare Banon? «Sono stato sentito come testimone, ho detto la verità , e cioè che in quell’incontro non c’è stato alcun atto di aggressione, alcuna violenza. La versione presentata dalla mia accusatrice è una menzogna, l’ho denunciata per calunnia». Al di là  degli aspetti giudiziari, la questione che si pone non è anche il divario tra vita privata e le sue enormi responsabilità  politiche e sociali? «Sì, lei ha ragione. È per questo che poco fa ho parlato non di debolezza, ma di colpa morale. Qualcosa di cui non si può essere fieri. Ma la sua domanda va più lontano, pone la questione del mio rapporto con le donne. Ecco, mai le mie relazioni con il prossimo, uomo o donna, si sono trasferite sul terreno del rapporto di potere. È tutto il contrario. Ma capisco la reazione delle donne, ho pagato pesantemente e continuo a pagare». «Cercare di cambiare, lei dice? Da quattro mesi vedo il dolore che ho creato attorno a me, e ho molto riflettuto. Questa mia leggerezza, l’ho perduta. Per sempre».
Il futuro
«No, il mio non è stato un atto mancato. Non credo a questa tesi pseudo-psicologica. Volevo essere candidato alla presidenza, pensavo che la mia posizione al Fondo monetario mi conferisse una visione acuta sulla situazione francese. Tutto questo è dietro di me. Evidentemente non sono candidato, anche se continuo a pensare che la vittoria della sinistra è necessaria nel nostro Paese. Ma il mio ruolo non è quello di immischiarmi nelle primarie socialiste». Un po’ per cortesia, Claire Chazal pone poi a Dominique Strauss-Kahn la scontata domanda jolly sulla crisi dell’euro. Un modo per ricordare al mondo che DSK era noto per essere un donnaiolo, ma soprattutto un ottimo economista. Poi, la domanda finale: «Ha rinunciato a qualsiasi carriera politica?». DSK si appassiona elencando tutti gli argomenti che lo interessano, le sfide tecnologiche, la demografia, l’immigrazione… Ma poi conclude, lentamente, a bassa voce: «Non sono candidato a niente. In queste condizioni devo prima di tutto riposare. Ritrovare i miei cari. Prendere il tempo di riflettere. Ma tutta la mia vita è stata consacrata al bene pubblico e… Vedremo». La giornalista ringrazia. Dominique Strauss-Kahn annuisce, chiudendo gli occhi. È andata.


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