I giudici contro i legali del Cavaliere «Un falso a Londra sul caso Mills»

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MILANO — «Non corrisponde al vero quanto rappresentato dai legali inglesi di Silvio Berlusconi». Due righe di una lettera scritta in estate dal Tribunale milanese del processo Berlusconi-Mills alle autorità  inglesi, seguite da una precisazione del difensore Niccolò Ghedini circa «un fraintendimento», svelano le grandi manovre in corso in Gran Bretagna dietro la telenovela della fissazione della rogatoria internazionale necessaria per poter interrogare a Londra in videoconferenza da Milano 8 testimoni inglesi tra i quali l’avvocato David Mills, teste in processi al Cavaliere a fine anni 90, che il premier (oggi annunciato qui in aula a Milano anziché a Palazzo Chigi per testimoniare davanti ai pm napoletani) è imputato di aver corrotto con 600 mila dollari per la sua reticenza.
Il codice di procedura italiano prevede che i testimoni della difesa siano ascoltati dopo quelli dell’accusa, anche se a chiamarli a deporre sono entrambe le parti. Nei processi ordinari di solito i difensori accettano di fare le loro domande nella stessa udienza in cui il pm fa le sue, per non far duplicare le udienze necessarie e per non obbligare i testi a tornare più volte.
Ma nel processo a Berlusconi per corruzione in atti giudiziari del teste Mills, la cui prescrizione dimezzata anni fa dalla legge ex Cirielli incombe ormai a febbraio, la difesa di Berlusconi sta facendo valere il rispetto della norma, non prestando il consenso all’inversione dell’ordine di assunzione delle testimonianze (è già  successo ad esempio con testi come Flavio Briatore o Paolo Marcucci).
Ma se questo è indubbio per i testi residenti in Italia, lo è meno per quelli residenti all’estero: le giudici Vitale-Lai-Interlandi scrivono infatti alla Gran Bretagna che «la difesa Berlusconi, con l’avvocato Ghedini, all’udienza del 9 maggio espressamente ha accordato invece il consenso all’inversione dell’ordine di assunzione dei testi che, comuni ad accusa e difesa, avrebbero dovuto esser sentiti nell’ambito delle attività  rogatoriali in quanto residenti all’estero», come «si rileva testualmente dalla trascrizione integrale del verbale d’udienza del 9 maggio, che si allega. Non corrisponde quindi al vero quanto a voi (cioè alle autorità  inglesi, ndr) rappresentato dai legali inglesi di Silvio Berlusconi circa il mancato consenso su un diverso ordine di assunzione della prova in sede rogatoriale».
«Forse c’è stato un fraintendimento che vorremmo fosse chiaro», si precipita allora a tamponare la situazione l’avvocato-parlamentare Ghedini il 18 luglio, e prima di ascoltare in videconferenza dalla Svizzera il teste Pierre Hamman rimarca di voler «fare una piccola verbalizzazione». Rifacendosi al verbale d’udienza del 23 maggio «che è la stessa cosa del 9 maggio», Ghedini offre l’interpretazione autentica della linea Maginot sulla quale si attesta la difesa Berlusconi: «Va benissimo una richiesta rogatoriale unica, però chiedete» a Londra e a Berna «la possibilità  di escutere prima i testi comuni con il pm, che certamente non chiederemo di sentire dopo», che qui sono Mills e la sua collaboratrice Tanya Maynard; «ma i testi nostri» (che sono gli altri sei, a cominciare dai cruciali fiscalisti di Mills, David Barker e Robert Drennan) «vorremmo sentirli terminata l’assunzione delle prove del pm. Quindi, in modo che sia chiarito questo, sia il 9 sia il 23 maggio noi facciamo presente che le nostre richieste erano state queste». Se poi l’altra volta per il teste dalla Svizzera «il Tribunale ha deciso di anticipare il teste, noi lo verbalizziamo per evitare che si dica che facciamo acquiescenza a una decisione che non è quella che noi avevamo chiesto. In modo che sia chiaro anche per la rogatoria inglese. Semplicemente perché non ci fosse un fraintendimento tra noi, ecco». «Questa è la lettura del verbale quale la difesa ci sta esplicitando», commenta il presidente Francesca Vitale.
Cosa sia poi successo d’estate da allora ad oggi non è ancora noto e lo si saprà  forse oggi in aula: da Londra filtra solo che le autorità  inglesi avrebbero indicato tre giorni possibili, ma non in settembre e non consecutivi, bensì spalmati su lunedì di tutto ottobre: 10, 24 e 31 ottobre. Un calendario diluito che toglierebbe i residui dubbi sull’impossibilità  di qualunque sentenza prima che a febbraio intervenga la prescrizione.


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