Eurolandia respinge “l’intruso” americano e ora gli Usa temono davvero il crac

Loading

NEW YORK – Gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere. Le ultime puntate della crisi dell’eurozona aumentano la distanza tra le due sponde dell’Atlantico, moltiplicano incomprensioni e diffidenze. Non è un buon segnale che il segretario al Tesoro Usa si auto-inviti per la prima volta della storia a un vertice Ecofin. Tantomeno se è per dare degli irresponsabili ai suoi colleghi europei, mettendoli di fronte alle loro colpe con frasi del genere: andate avanti così e sarete ostaggio della Cina. Non è un buon segno nemmeno che i colleghi europei lo mandino in buona sostanza a quel paese, lui e i suoi suggerimenti di ingegneria finanziaria (trasformare il fondo salva-euro in una banca d’affari?), appioppandogli la contro-proposta di una Tobin Tax sulle transazioni finanziarie (che per Wall Street è un’eresia). Questo è lo stato penoso delle relazioni Usa-Ue, di fronte a una crisi che è stata solo tamponata dai loro banchieri centrali, più ragionevoli e cooperativi ma altrettanto a corto di idee e ricette originali. Tim Geithner si è presentato in Polonia con una certa spavalderia, che giustifica l’irritazione degli europei. Venendo dalla nazione che ha scatenato la crisi sistemica del 2008, e vi ha trascinato l’Europa, la sua tendenza a dare lezioni può sembrare inopportuna. Ma Geithner non si è fatto scrupolo: agli europei ha tenuto una ramanzina in piena regola. «Basta chiacchiere a vanvera sulla disintegrazione dell’euro”, è stata una delle sue frasi più gentili. Geithner ha evocato «default a catena», «rischi catastrofici per i mercati finanziari» e infine ha concluso con l’avvertimento più caustico: «Se l’Europa non se la cava da sola il suo destino finirà  nelle mani di finanziatori esterni, con o senza il Fondo monetario«. Una chiara allusione alla possibilità  che in soccorso di alcuni Stati europei si faccia avanti la Cina, o l’intero club dei Bric inclusi Brasile Russia e India, com’è stato proposto di recente dal ministro delle Finanze brasiliano. I Bric terranno un loro vertice la settimana prossima a Washington: l’Europa ha voglia che le condizioni per il salvataggio di questo o quello Stato membro vengano decise in sedi così distanti dai suoi governi e dai suoi popoli sovrani? Alla durezza dei suoi avvertimenti Geithner ha appaiato la proposta sul fondo Efsf anticipata ieri. Quel fondo destinato a salvare Stati dell’eurozona che rischino la bancarotta ha 440 miliardi di euro di capitali: sufficienti se a fallire sarà  solo la Grecia, del tutto inadeguati se il default dovesse minacciare Spagna e Italia. Di qui la proposta di usarlo come il capitale di una banca, attivando l’effetto-leva che consente di attirare altri finanziamenti. In quel caso i 440 miliardi di euro potrebbero valere come garanzia, e il volume di capitali mobilitati potrebbe decuplicarsi. Il modello è un fondo creato dallo stesso Geithner nel 2008, quando era ancora a capo della Federal Reserve di New York. Funzionò piuttosto bene per riattivare i mercati finanziari che erano al collasso.
Ma queste ingegnerie che piacciono tanto a Wall Street susciterebbero la massima diffidenza nei cittadini tedeschi: già  gli sembrano troppi i finanziamenti promessi alla Grecia fin qui, moltiplicare la potenza del fondo Efsf verrebbe visto a Berlino come un segnale di lassismo verso l’Europa del Sud. Semmai, come hanno rilanciato alcuni ministri europei, bisognerebbe finanziare gli aiuti con una tassa sulle transazioni di capitali. Un’idea più progressista? Una solenne idiozia, secondo Geithner: che ha buon gioco a ricordare ai suoi interlocutori europei lo stato già  comatoso in cui si trovano le loro banche. Una delle ragioni per cui gli americani sono così allarmati, è che la loro Federal Reserve ha dovuto attivare negli ultimi tre giorni una ciambella di salvataggio speciale: un’apertura di credito in dollari a lungo termine nei confronti della Bce, perché quest’ultima possa a sua volta rifornire di biglietti verdi gli istituti di credito europei. Tale è la paura di crac bancari (soprattutto francesi) che a Wall Street era scattata la tacita regola “non si fa credito agli europei”. Ora i banchieri centrali ci hanno messo una pezza. Ma la Casa Bianca è convinta che il problema di fondo non sia stato risolto: e cioè il rischio default di Stati membri dell’euro. Con quest’incognita, anche gli sforzi di Barack Obama per una manovra anti-recessione in casa sua sono indeboliti. E questo spiega l’intrusione del suo emissario all’Ecofin. A seminare più confusione di quanta non ce ne fosse già .


Related Articles

Bruxelles, c’è un piano B per la Grecia

Loading

Alla riunione Ecofin di Riga, i ministri elaborano la strategia d’emergenza in caso di fallimento dei negoziati con Syriza

Amaro 2012, altri 130 mila posti in meno

Loading

Unioncamere: la situazione è più grave al Sud, ma l’anno prossimo il Pil torna a salire Cinque proposte per la rinascita a costo zero: “Portare all’estero 10 mila imprese italiane” 

Salari e redditi fermi da 20 anni l’Italia si scopre più povera

Loading

Rapporto Istat: precari al top dal ‘93, Sud alla deriva   Nel Mezzogiorno, sono in difficoltà  23 famiglie ogni cento contro le 4,9 del SettentrioneNel 2011 l’export nazionale è cresciuto dell’11,4%, ma si è anche ridotta la nostra quota nel commercio mondialeFinalmente il Paese ha compreso di essere vulnerabile, decisioni politiche più veloci e consapevoli. E’ l’anno più duro 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment