Mille polveriere e 40 vittime in dieci anni “Basta una scintilla per saltare tutti in aria”

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ROMA – In una fabbrica di fuochi d’artificio il nemico è la scintilla. «Lì si lavora con la polvere nera» spiega Pippo Mistretta, direttore per l’emergenza dei Vigili del Fuoco. «E la polvere nera è esplosiva. Possiamo prendere tutte le precauzioni ed effettuare tutti i controlli. Ma se c’è una scintilla, c’è l’esplosione». Per evitare questa fatalità  nella “zona attiva” è vietato entrare con telefonini, abiti non antistatici (non devono accumulare elettricità ) e oggetti metallici (lo sfregamento potrebbe produrre scintille). Le leggi fissano la distanza minima dai centri abitati (100 metri), la quantità  massima di polvere pirica nei depositi e nella zona attiva. Impongono criteri antincendio, prevedono licenze e aggiornamenti per proprietari e dipendenti. «In questo settore può lavorare solo gente esperta. Le infrazioni sono rare» conferma Maria Paravati del Dipartimento di pubblica sicurezza.
Ma alle leggi le scintille non obbediscono. E tra i 1.700 dipendenti delle 900 aziende assicurate presso l’Inail, negli ultimi 10 anni le esplosioni hanno spazzato via la vita di oltre quaranta persone. Non solo operai, ma anche proprietari e i loro parenti, visto che quasi tutte le fabbriche sono a conduzione familiare. «La polvere nera non ha sostituti. E così gli incidenti gravi sono uno all’anno» conferma Mistretta.
L’accettazione di un rischio che sembra impossibile da eliminare si traduce in una sfumatura della voce che è caratteristica di tutti coloro che in queste aziende lavorano: «Conoscevo benissimo il proprietario di Arpino. La sua famiglia era nel settore da generazioni. Partecipava ai corsi di aggiornamento, si informava sulle norme. Era tutt’altro che un improvvisato» racconta Nobile Viviano, presidente dell’Associazione pirotecnici italiani. Concludendo: «Abbiamo sempre paura. Consideriamo la paura un’alleata. Ci aiuta a essere prudenti». Romualdo Parente è il titolare dell’azienda omonima, che si trova a Rovigo ed è la più grande d’Italia: «Rimpiazzare gli uomini con robot o altri macchinari è impensabile. La nostra è un’attività  artigianale, la lavorazione deve avvenire a mano». I fuochi d’artificio si producono oggi con la tecnica dei secoli scorsi e molte aziende si tramandano il lavoro da una generazione all’altra. Era il caso della fabbrica di Arpino, che stava lavorando a pieno ritmo nella coda dell’estate, stagione di sagre paesane. E che, come tutto il settore, era stata colpita dal boom cinese, che dalla metà  degli anni ’80 ha mangiato l’80% del mercato italiano.


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