Istituti di credito sulla graticola Unicredit perde l’11%, Intesa il 9,5%

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MILANO – È arrivata puntuale la mazzata quotidiana sui titoli bancari di tutta Europa che sono tornati vicini ai minimi di sempre e ben sotto il valore di libro. Di questo passo, tra qualche tempo i titoli del comparto diventeranno penny stock (già  Unicredit vale 0,68 euro dopo il -10,91% di ieri, Intesa Sanpaolo è a 0,86 euro dopo un -9,54%). Altrove non va meglio: la Francia bancaria è il protagonista negativo da inizio agosto, con perdite tra il 25 e il 35% sulle blue chip. Perché, dicono gli investitori, se le banche italiane “pagano” la minore rischiosità  e il maggiore patrimonio con la fortuna di operare in un paese in cui il governo ti cambia quattro volte in un mese la manovra sui conti pubblici, a Parigi stanno venendo al pettine nodi di anni duri in cui si è ricapitalizzato poco. Il rischio Grecia, cospicuo nei forzieri francesi ha fatto perdere ieri il 12,35% a Bnp Paribas, il 10,7% a SocGen (malgrado un piano di rilancio con tagli di costi e vendita di asset per 4 miliardi al 2013), il 10,64% a Credit Agricole e il 9,72% ad Axa. Le voci sul prossimo default della Grecia – benché smentite – fanno tremare. Anche le indiscrezioni sulla prossima perdita della tripla A del rating transalpino (da parte dell’agenzia Moody’s) hanno contribuito.
«L’Italia ha problemi di credibilità  e gli investitori stranieri stanno scappando da Piazza Affari, se non sono già  scappati – commenta un banchiere – ma anche in Francia e Germania c’è grande preoccupazione. Credo che nel fine settimana in Polonia i ministri europei si porranno il problema delle banche europee, che ormai va affrontato con vigore a livello di sistema». Venerdì e sabato è in agenda un vertice Ecofin informale, con focus sulla crisi del debito e le garanzie per il secondo pacchetto di aiuti ai greci. Potrebbero sortirne messaggi, o misure, più forti di quelli spesi finora, con scarso successo, come la fornitura ingente di liquidità  al sistema creditizio, ribadita ieri dal presidente della Bce Jean-Claude Trichet. Le congetture degli operatori si concentrano su nuove iniezioni di denaro (ma non “sterilizzato”, quindi allargando la base monetaria dell’euro), a favore dei prenditori bancari o in forma di acquisti di titoli sovrani, com’è da settimane per Btp e Bonos spagnoli. Oppure potrebbero esserci passi sull’avvio del fondo salva-stati Efsf che, hanno detto ieri il presidente della Commissione Ue Manuel Barroso e la cancelliera Angela Merkel dopo una riunione, «dovrà  essere concluso entro fine settembre». Un’accelerazione del fondo Efsf porterebbe due benefici. Il primo, rendere strutturale e se serve più corposo l’aiuto al debito sovrano sui mercati in tumulto. Il secondo, procedere con il piano di alleggerimento del debito di Atene, proprio a spese delle banche creditrici che da settimane hanno accettato di svalutare di un quinto i portafogli greci.
Di questi temi e d’altro hanno parlato i maggiori banchieri italiani, a colazione da Giulio Tremonti nella sede milanese del Tesoro. C’erano il presidente di Abi e Mps, Giuseppe Mussari, l’ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, il suo vice e patron di Crt, Fabrizio Palenzona, il presidente dell’ente Cariplo, Giuseppe Guzzetti. In video da Roma è intervenuto l’ad di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera. Oltre alla decrescente liquidità  del mercato interbancario (uno dei tanti indici della paura attuale), i banchieri hanno convenuto con il ministro la necessità  urgente di misure per rilanciare la crescita italiana, senza la quale avranno vita difficile. Si è parlato di liberalizzazioni, privatizzazioni e infrastrutture per il paese. Prima della crescita italiana, Unicredit potrebbe dover pensare a quella del suo capitale; Ghizzoni ha detto al Financial Times in edicola oggi: «Credo che gli azionisti siano pronti a supportare un aumento, la riduzione degli asset rischiosi o qualche dismissione, se li proporremo entro un piano strategico credibile». Il piano è atteso per novembre.


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