Il Pdl ora teme il terremoto Ma il Cavaliere vuole resistere “Non mi piego all’attacco dei pm”

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ROMA – Berlusconi si tiene forte, la botta più pesante sta per arrivare. «Ancora una volta – si è sfogato ieri mattina in Consiglio dei ministri – dobbiamo subire un attacco frontale da parte dei giudici, questi ci vogliono mettere a terra e non hanno esitato a mettere in galera una coppia di genitori pur di arrivare a me». Ma se diversi esponenti del Pdl, anche ai massimi livelli, iniziano a considerare come il male minore l’ipotesi di un «passo indietro» del premier per salvare il centrodestra e la legislatura, l’interessato è determinato a resistere a qualsiasi costo. Lo ha spiegato agli esponenti ex Fli – Ronchi, Urso e Scalia – ricevuti ieri a palazzo Chigi, ai quali si è voluto presentare spavaldo, offrendo il petto al nemico: «Dovete stare tranquilli, non ci sarà  alcun governo tecnico, sotto tutte caz… te. Noi andiamo avanti comunque, fino al termine della legislatura, e useremo questi mesi per fare tante altre riforme, a partire da quella della giustizia».
Tanta baldanza non è tuttavia condivisa dal resto del partito, dove si respira un’aria da fine impero. A Frascati ieri pomeriggio mezzo Pdl si riuniva in conciliaboli nelle sale della Summer School di Quagliariello e Gasparri e il clima era di grande apprensione per le intercettazioni in arrivo da Bari. La telefonata tra Berlusconi e Lavitola, anticipata da l’Espresso, ha terremotato la prima giornata di relativa tranquillità  sui mercati finanziari, gettando nello sconforto i dirigenti di via dell’Umiltà  e oscurando i giudici positivi della Bce sulla manovra. Visto il “niet” del Cavaliere, la sua ostinata volontà  di resistere, ai fedelissimi non resta che fare buon viso a cattivo gioco. «Abbiamo appena varato una manovra che avrebbe gettato a gambe all’aria qualsiasi altro governo – riflette uno dei capigruppo del Pdl – e adesso l’unica via d’uscita è sfruttare il tempo che ci resta, da qui al 2013, per far dimenticare agli italiani questa mazzata e preparare la candidatura di Alfano». Anche il premier si è già  messo al lavoro sulle contromisure, scioccato per quei sondaggi che certificano un crollo del gradimento suo e del governo. Dopo il bastone della manovra, Berlusconi progetta adesso la carota sotto forma di quoziente famigliare da inserire nella riforma fiscale. L’ha ribattezzato “Fattore famiglia” – il termine quoziente lo ritiene «troppo da commercialisti» – e spera in questo modo di riagganciare i centristi dell’Udc e riconquistare il Vaticano.
Un’altra ragione per cui il premier è convinto di poter andare avanti è l’atteggiamento di Napolitano. «Non è dal capo dello Stato – ripete Berlusconi in tutti i suoi incontri – che dobbiamo aspettarci scherzi. Non c’è più Scalfaro al Quirinale». E quindi, se anche la prossima settimana dovessero uscire telefonate imbarazzanti, il premier non intende affatto gettare la spugna. Ne ha avuto riprova Fedele Confalonieri, che si è fatto latore due giorni fa di un messaggio di Pier Ferdinando Casini. In sostanza il leader dell’Udc suggeriva al capo del governo di anticipare il passaggio di testimone ad Angelino Alfano, in questo modo favorendo il realizzarsi di una larga maggioranza di «salvezza nazionale». Pare che la risposta del Cavaliere sia stata qualcosa simile al gesto dell’ombrello. E del resto lo stesso Alfano, l’eventuale beneficiario dell’operazione, pur di allontanare da sé il sospetto di essere parte del “complotto”, ieri ha messo le mani bene avanti: «Chi crede nella trasparenza non può che difendere il principio che il cittadino vota chi lo governerà  e se quello smette di governare si torna al voto». Insomma, se Berlusconi cade ci sono solo le urne.
Intanto nel governo, nonostante il silenziatore imposto dalla grave congiuntura internazionale, non mancano le slabbrature sulle cose da fare. Ieri in Consiglio dei ministri si è assistito all’ennesimo scontro tra una parte del Pdl e la Lega sull’abolizione delle province, che il Carroccio ha cercato in qualche modo di edulcorare. Quando Calderoli ha iniziato a parlare di «province regionali», alludendo alla facoltà  delle regioni di istituire delle forme associative tra i comuni, Giancarlo Galan ha perso la pazienza e gli ha risposto a brutto muso. E, per una volta, Tremonti si è schierato con il ministro dei Beni Culturali, lasciando di stucco i presenti.


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