«Indignados» sconfitti, approvato il pareggio di bilancio nella Carta

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  MADRID. «Tutte le amministrazioni pubbliche adegueranno le loro azioni al principio della stabilità  di bilancio»: da oggi questa formula magica compare nell’articolo 135 della Costituzione spagnola. Il Senato ha dato ieri il via libera definitivo alla controversa riforma, con un voto-fotocopia di quello del Congreso de los diputados della scorsa settimana. A favore si sono espressi i gruppi del Partito socialista e del Partito popolare, insieme ai regionalisti navarri, contrari tutti gli altri. A nulla sono valse le proteste che indignados e sindacati hanno promosso nei giorni scorsi: nessun ripensamento nella fila del Psoe, nemmeno per concedere ai cittadini la possibilità  di dire la loro tramite un referendum. I rapporti di forza parlano chiaro: in nessuna delle due camere esiste un decimo di parlamentari favorevoli alla consultazione popolare. Salvo improbabili ripensamenti di qualche socialista dissidente, dunque, il capitolo è chiuso: la Spagna è il primo paese ad allinearsi al volere delle forze conservatrici europee inserendo il tetto alla spesa nella propria Carta magna.
Un discutibile primato, che i dirigenti del Psoe cercheranno di far scivolare nel dimenticatoio il prima possibile. «Con la riforma costituzionale comincia e finisce la nostra coincidenza di vedute con il PP», ha dichiarato la direttrice della campagna elettorale, Elena Valenciano, nella conferenza stampa di presentazione del primo spot dedicato al candidato premier Alfredo Pérez Rubalcaba. La necessità  di tornare a distinguersi dagli avversari è impellente, e la strada è in salita. Nelle linee fondamentali del programma, illustrate lo scorso lunedi dallo stesso Rubalcaba, spicca una misura che dovrebbe servire allo scopo: una nuova tassa sulle grandi fortune, respinta come demagogica e dannosa tanto dal PP quanto dal presidente della Confindustria spagnola, Joan Rossell.
Non hanno nessuna intenzione di dimenticare in fretta il «patto costituente» fra socialisti e popolari, invece, le forze di opposizione di sinistra. Nella principale delle manifestazioni di protesta dello scorso martedì, quella svoltasi a Madrid, hanno sfilato Izquierda Unida e il neonato movimento eco-socialista Equo, che aspira ad imitare in terra iberica i successi dei Verdi tedeschi. In un’intervista alla catena radiofonica Ser, il coordinatore di Izquierda Unida, Cayo Lara, segnalava ieri che non smetteranno di denunciare il senso della riforma della Costituzione.
«I due partiti maggioritari la vendono all’opinione pubblica come una misura di buon senso. Ma non è così: lo stato ha bisogno di margine di manovra per indebitarsi, quando necessario, per fare fronte alla spesa sociale. Se proprio si vuole introdurre un limite nella Legge fondamentale – ha aggiunto provocatoriamente Lara – lo si faccia con l’evasione fiscale: si decida che oltre lo 0,4% del Pil è anticostituzionale». Toni analoghi in Equo, che comincia questa settimana una consultazione fra i suoi simpatizzanti per scegliere, attraverso primarie, i candidati da inserire nelle proprie liste.
Nella lunga lista di voci critiche alla riforma, vanno segnalate anche le due principali organizzazioni giudiziarie progressiste. Tanto Jueces para la Democracia come la Unià³n Progresista de Fiscales (in Spagna c’è la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri) hanno manifestato il loro rifiuto della riforma. In un comunicato diffuso alla vigilia dell’approvazione, l’associazione dei pm di sinistra sostiene che «la riforma suppone la costituzionalizzazione del modello neoliberale», ed evidenzia «il deficit democratico del procedimento dell’approvazione, proprio in un momento in cui la società  spagnola reclama una maggiore partecipazione diretta».


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