Sirte, Bani Walid, Sebha: non tutti gli assedi sono uguali. E anche i civili
S irte, Bani Walid, Sebha: l’assedio totale Nato-Cnt alle città «nemiche» e agli abitanti, anche quelli non armati, continua. Sirte: secondo il messaggio – certo non verificabile – di un russo presente sul posto che giorni fa ha scritto alla rivista Argumenti.ru, mentre le forze del Cnt assistite da forze speciali estere («mercenari» a rigore) circondano l’area e respingono dentro le famiglie di civili che cercano di fuggire, dall’alto piovono i bombardamenti Nato. Bombe e assedio hanno azzerato le forniture in acqua, cibo ed elettricità .
Sugli assedi delle città lealiste, anche se violano le convenzioni di Ginevra sul diritto umanitario e bellico, l’occidente tace. Tace anche sugli ultimatum che fanno presagire sfracelli. Due pesi due misure. Perché la guerra Nato, al di là delle sue vere cause, è ufficialmente iniziata in reazione all’assedio ad altre città libiche da parte dei governativi.
Bengasi. Secondo articoli recenti dei docenti Usa Maximilian Forte su Counterpunch e di Alan J. Kuperman sul Boston Globe, il «bagno di sangue di civili evitato con le bombe Nato» di cui scrivevano Obama/Sarkozy/Cameron in marzo sul New York Times era altamente improbabile: il «senza pietà » di Gheddafi si riferiva secondo lo stesso NYT solo a chi non deponeva le armi; nelle fasi precedenti, quando le truppe di Gheddafi avevano riconquistato in tutto o in parte diverse città – Zawiya, Misurata, Adjabya -, non erano avvenuti massacri; e del resto il tutto si basava sulla falsa notizia da una falsa fonte (partita dal twitter di Al Arabiya del 24 febbraio) secondo cui i «miliziani di Gheddafi» avevano fatto «10mila morti e 50mila feriti» nei giorni delle proteste. Nelle successive stime della stessa Corte penale internazionale e di Amnesty i morti di quei giorni erano scesi a circa 200; più o meno equamente suddivisi fra le due parti. Conclude Forte: per una amara ironia, le prove dei massacri in Libia si riferiscono alle fasi successive all’intervento Nato. E soprattutto agli ultimi giorni. Lo dimostrano gli stessi reportage da Tripoli dei media mainstream che pure avevano appoggiato la rivolta (www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=26334).
Poi Misurata. L’assedio governativo era stato il pretesto per continuare la guerra «per proteggere i civili». Al contrario di Sirte e Ben Walid, a Misrata erano i ribelli a nascondersi nelle case, ma nessuno li accusava, come con i lealisti, di usare i civili come «scudi umani». E all’esercito libico che circondava la città veniva addossata tutta la colpa dei morti di Misurata (si veda il rapporto di Amnesty «Misrata under Siege» di aprile). Eppure, molte famiglie di Misurata avevano scelto di rifugiarsi nelle zone lealiste e non a Bengasi. Dopo due mesi di scontri a terra e bombe dal cielo, Human Rights Watch stimava in alcune centinaia le vittime civili della guerra a Misrata.
Nelle città lealiste assediate le vittime civili potrebbero essere molte di più. Ma gli assediati non sono tutti uguali. E nemmeno gli assedianti. Comunque, come scrive Peacelink, una guerra iniziata per fermare un assedio e proteggere i civili ha prodotto un massacro di civili e altri assedi.
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