Le rimesse nel mirino, ogni anno 6,4 miliardi «Il gettito? Minimo»

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Che succederà , adesso, con l’introduzione della nuova tassa del 2% sul money transfer prevista dalla manovra del governo? Marco Marcocci, 48 anni, è uno studioso di migrant banking, cui ha dedicato un libro e poi anche un sito (www.migrantiebanche.it). Sulla sua scrivania campeggia una ponderosa ricerca della Fondazione «Leone Moressa», istituto nato nel 2002 che sforna ogni anno statistiche interessanti legate alla presenza degli stranieri in Italia. Mediamente — secondo questa ricerca — ogni straniero che vive qui da noi invia nel proprio Paese 1.508 euro all’anno, destinati per lo più in Asia e in Cina. Si stima che i cinesi che risiedono in Italia riescano a mantenere oltre mezzo milione di connazionali in patria. E ancora: sono Roma, Milano, Napoli e Firenze le province da cui defluisce il maggior importo di rimesse verso l’estero attraverso i canali di intermediazione regolare (banche, poste, sportelli di money transfer).
E dunque adesso che succederà ? «Io credo che la nuova tassa produrrà  un gettito davvero irrisorio per le casse dello Stato — dice Marcocci —. Perché quelli in regola, con il codice fiscale e l’iscrizione all’Inps (nel 2008 erano 2.727.254 i lavoratori stranieri assicurati) non saranno soggetti alla nuova imposta. Mentre chi non ha il permesso di soggiorno, chi lavora in nero e via dicendo continuerà  a servirsi come oggi dei canali cosiddetti informali. E si stima che le rimesse irregolari raggiungano cifre ben più alte…».
Già , i canali informali: come i tanti cittadini dell’Est che affidano i loro soldi ad amici e conoscenti che tornano a casa in auto o in pullman. O come i latinoamericani che ricorrono a corrieri che lavorano per conto di agenzie e viaggiano in aereo senza dichiarare la somma che esportano. Eppoi ci sono le carte di credito prepagate e spedite oltreoceano per posta ordinaria. Sono tanti i sistemi: ci sono i «banchieri di strada», che raccolgono qui in Italia il denaro dei connazionali e poi danno l’ordine in patria di versare alle loro famiglie delle somme (quasi) corrispondenti.
Ma soprattutto non bisogna dimenticare i tanti money transfer (erano 687 nel 2002, sono diventati oltre 34 mila nel 2010) allocati qui in Italia presso phone center, Internet point, centri commerciali, cartolerie, dove gli addetti sono molto spesso essi stessi cittadini stranieri. «È così — conferma Bachcu, 45 anni, presidente dell’associazione dei bengalesi a Roma Dhuumcatu —. Gli addetti al money transfer non sono pubblici ufficiali, perciò oggi basta presentare un documento, pure semplicemente il proprio passaporto, e si ha diritto a mandare i soldi all’estero. E poi chiunque in Italia, anche i 700 mila stranieri che non hanno ancora il permesso di soggiorno, può procurarsi un codice fiscale: basta andare su Internet, seguire le istruzioni su come calcolarlo e poi stampare. Io credo perciò che non cambierà  proprio nulla. Falso allarme. È solo propaganda leghista contro gli stranieri…».
La senatrice del Pd, Anna Maria Carloni, ha parlato di «accanimento verso i deboli» a proposito dell’emendamento della Lega che ha previsto la nuova tassa. «Anch’io resto sorpreso — conclude Marco Marcocci di «Migranti e Banche» —. Il governo italiano, alla Conferenza internazionale di Roma che si tenne nel novembre 2009, elaborò un progetto da presentare al G8 dell’Aquila per ridurre drasticamente il costo delle rimesse degli immigrati, al fine di non distogliere risorse ai loro Paesi d’origine. Bisognerebbe piuttosto proseguire in quella direzione».


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